mercoledì 18 giugno 2008

La loggia veneziana «Fedeltà» e la sua eredità



Le principali notizie sul Rettificato italiano nel Settecento le dobbiamo a Pericle Maruzzi 1, Eques a Tribus Baculis, che raccolse preziosi documenti, come il Codice massonico delle Logge riunite e rettificate di Francia, e manoscritti vergati dalla mano di Willermoz. Nel capitoletto sulle logge rettificate del Veneto (pp. 103–107), Maruzzi informa che Eques a Ceraso, ossia il barone von Waechter, insediò la Prefettura di «Verona» il 17 gennaio del 1778 2.
Nel pie’ di lista del 1778 della Loggia padovana Amore del prossimo risultano iscritti quattro veneziani: il marchese Michele Sessa, l’avvocato Antonio Gini, il maggiore Domenico Gasperoni, tutti maestri, e l’apprendista Matteo Dandolo.
La prefettura di «Verona», composta inizialmente dalle Logge Amore del prossimo e I veri amici, diede patente alla Beneficenza di Corfù e alla Fedeltà di Venezia nel 1780 3, anno in cui la Prefettura di «Verona» aderì al Regime Rettificato (MSO, p. 161).
È probabile che la Fedeltà di Venezia sia stata costituita da Michele Sessa, componente della Prefettura di «Verona» col titolo di Eques Michael a Leone e maestro dei Novizi 4. Cinque anni dopo la fondazione, nel 1785, la Fedeltà e le altre logge rettificate furono chiuse: Maruzzi ne dà notizia in maniera lapidaria. La storia del Rettificato nell'Italia del Settecento, e soprattutto in Veneto, si arresta qui.
La storia ha tuttavia un seguito d’estremo interesse, sebbene ancora sepolto. Nel terzo numero dell’Hiram del 1988 Rossi Osmida dà notizia d’un documento, da lui personalmente acquistato presso la libreria antiquaria «Concarieva Zalosba» di Lubiana, proveniente da un ufficiale della polizia austriaca in forza a Venezia nel 1860.
Si tratta d’una minuta cancelleresca del 7 maggio 1785 per un inventario d’oggetti rinvenuti durante una chiusura forzata d’una Loggia veneziana, e la lista dei presenti: «il documento, redatto nella tipica grafia cancelleresca di fine Settecento, consta di due facciate: la prima è dedicata all’inventario degli oggetti reperiti, requisiti e “abbruciati”; la seconda riporta una lista di 36 affiliati che evidenzia la presenza di 10 patrizi veneti accanto a 26 borghesi» 5. La vicenda si conclude con un rogo delle suppellettili e la chiusura definitiva della Loggia.
Rossi Osmida, dopo aver tratteggiato l’interessante profilo d’alcuni degli affiliati patrizi, giunge a conclusioni probabilmente affrettate: «per quanto attiene la lista degli oggetti, è già possibile intravedere un legame di questa loggia sia con il lavoro alchemico (la nave, la canfora, la corona) sia, e soprattutto, con un Rito Egizio» (ibidem).
Sicuramente Rossi Osmida, che aveva da poco aperto una camera del Rito di Memphis e Misraim a Venezia, è giunto alla sua conclusione sedotto da «una piramide a tre lati con fiammole dipinte, e varj geroglifici» descritta nell’inventario del 1785.
Tuttavia la piramide è l’unico oggetto «egizio» tra i tanti sequestrati, mentre tutti gli altri oggetti menzionati nell’inventario suonano familiari a chi abbia un po' di dimestichezza col regime Rettificato.
Anzitutto conviene menzionare i «quadretti». Sul primo, cui spetta l’apertura, era trascritto il motto «Adhuc stat», divisa che distingue il primo grado del regime. L’inventario aggiunge che vi era raffigurato un «pezzo di colonna». Nell’inventario redatto nel maggio del 1785 si ricorda anche un altro quadretto raffigurante una squadra e il motto «dirigit obliqua», divisa del secondo grado rettificato. Oltre questi quadretti è menzionato uno specchio su cui era scritto «se avete un vero desiderio, se avete coraggio ed intelligenza, tirate questa cortina, e apprenderete a conoscervi» (a sinistra un disegno attribuito a una loggia del «Rio Marin», ma da riferire alla veneziana Fedeltà, in cui entro il riquadro d'uno specchio è scritta la frase riportata anche nell'inventario).
Un terzo quadretto che faceva mostra di sé nella loggia veneziana raffigurava un nave in burrasca, accompagnata dal motto «in silenzio & spe fortitudo mea», divisa del grado di maestro nel regime rettificato. La piramide triangolare –e non quadrata– che in Rossi Osmida ha evocato suggestioni di riti egizî, forse andava accompagnata dalla «tabella di latta col motto “depone aliena”», altro simbolo del terzo grado. Su questa piramide triangolare era inciso «tria formant». (a sinistra un disegno attribuito a una Loggia del «Rio Marin», ma molto probabilmente sequestrato alla loggia fedeltà, con i motti «tenebre eam non comprehenderunt» e «depone aliena»).
Basta soffermarsi su questi oggetti per rendersi conto che l’inventario del 1785 elenca con precisione tutti gli arredi necessari a una Loggia che lavori al rito rettificato. Rossi Osmida s’è concentrato sui personaggi più noti, come Alvise Mocenigo, o Alvise Querini, o il fratello di Pindemonte.
Ma la riprova definitiva che la loggia sorpresa dalle guardie era la Loggia veneziana Fedeltà all’obbedienza della Prefettura di «Verona» ce la dà il nome del «Venerabile», Michele Sessa, noto come Eques Michael a Leone (cioè «Michele veneziano») e maestro dei novizi, compito che seppe assolvere egregiamente se la Fedeltà, nel momento in cui fu sorpresa intenta nei suoi lavori, contava su trentasei Fratelli presenti.
E il secondo menzionato nell’inventario del 1785 è il maggiore Domenico Gasperoni, il secondo dei Veneziani nel pie’ di lista della padovana Amore del prossimo, immediatamente dopo Michele Sessa. Non è arduo trarre le conclusioni. I Veneziani Sessa e Gasperoni, tra i fondatori della Prefettura di «Verona» nel 1778, nel 1780 fondano la Fedeltà (vedi nota 3) all’Oriente di Venezia, e la sviluppano sin quando non incorrono nella repressione del maggio 1785.

L’inventario non farebbe che confermare definitivamente quanto scriveva Maruzzi: la chiusura d’almeno una delle logge rettificate, e a seguito d’una vicenda incresciosa. Ma è proprio a causa di questa improvvisa «morte» che possiamo farci un'idea dei principi del rettificato e dell'episodio che vide coinvolta la loggia: nello stesso anno in cui alla Fedeltà era proibita ogni riunione, il 1785, il tipografo Leonardo Bassaglia pubblicava un libretto anonimo di 95 pagine e corredato da incisioni, intitolato

Istituzione riti cerimonie
dell’Ordine de’ Francs-Maçons
ossian Liberi Muratori

Colla descrizione e disegno
in rame della loro Loggia

E insieme un preciso dettaglio
delle funeste loro peripezie

Già il colophon, alludendo alle «funeste peripezie», si presenta come un «istant book», un libro concepito proprio a causa della chiusura della fedeltà e del rogo dei suoi arredi e paramenti.
L’allusione si precisa in apertura del primo capitolo:

«Qualunque avvenimento strepitoso ha diritto ad eccitar nel pubblico tanto la curiosità d’intenderne le particolari sue circostanze, quanto a farne parlar tutti liberamente come loro più piace. Basta perciò ch’ei si sappia una peripezia di fresco accaduta a una Loggia di Francs-Maçons, che si era non ho molto stabilita in queste nostre adriatiche regioni, perché apparisca giustificato il divisamento di compilarne sul momento tutte quelle notizie, che servir possano a soddisfar il genio de’ curiosi... »
(il corsivo è mio, n.d.a.)

Il lettore è avvertito che sia pure senza menzionarla si parla della Fedeltà, nata nel 1780 e chiusa a causa di un episodio eclatante cinque anni dopo, e del rogo che ebbe sicuramente ampia eco sulla laguna. Ulteriore conferma viene dal placet delle autorità preposte alla licenza di stampa, dato il 25 e il 27 maggio. Dunque l’opuscolo è stato approntato in meno d’un mese dalla «funesta peripezia».
Il testo è redatto con abilità, molto probabilmente da un componente della Loggia Fedeltà o comunque da un Fratello che dietro l’apparenza di voler denunciare le presunte malefatte della massoneria, in realtà ne difende i principî e li divulga con ardore.
D’altronde il parere della commissione dei «Riformatori dello studio di Padova», da cui dipendeva il placet per le stampe, è firmato tra l’altro da Francesco Morosini e Girolamo Ascanio Giustinian (Ist., p. 95), e nell’Offina Fedeltà erano presenti al momento dell’irruzione e del sequestro Alvise Morosini e... Girolamo Giustinian (Cfr. inventario).
Qualora non si tratti d’una omonimia, e Girolamo Giustinian sia la stessa persona, non solo diviene comprensibile il placet, ma dovremo ipotizzare ragionevolmente che l’autore dell’omonimo opuscolo possa essere proprio lui. Certamente un aspetto da approfondire.
Chiunque ne sia stato l’autore, l’opuscolo apre la sua apparente invettiva contro la massoneria con un elogio dei suoi principî. In primo luogo la tolleranza:

L’Ordine de’ Francs-Maçons... unisce insieme e colle medesime viste una quantità grande di persone, senza che la diversità del carattere, della inclinazione, o della Religione vi rechi alcun ostacolo.
(Il corsivo è mio, n.d.a.)

Il riferimento al primo punto delle Costituzioni andersoniane è abbastanza palese: «.. la muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti». Ma l’elogio cede il passo all’aperta apologia:

Non havvi secondo i parziali di questa società, fra tutte le compagnie del mondo, unione di questa più dolce, più saggia, più vantaggiosa, e nello stesso tempo più speciosa e singolare. Uniti insieme col dolce nome di fratelli...
(Ist., p. 4. Il corsivo è mio, n.d.a.)

E le accuse? Come sempre la più antica è rivolta contro la segretezza dell’Ordine, e le cospirazioni che servirebbe a celare. Il nostro autore la respinge con forza:

Il gran segreto che osservano scrupolosamente in ciò che fanno nelle loro adunanze... non mancarono per verità di far concepir de’ sospetti svantaggiosissimi per tali assemblee, quasichè fosse a temere che... sotto un sigillo inviolabile di segretezza, potesse per avventura ostare alla costituzione, e intorbidare la tranquillità dello Stato. Ma... poiché i Socj vantano di portar impresso nel cuore l’amore del loro ordine e della pace sostenendo che nella loro Scuola... si può imparare qual rispetto, qual sottomissione, e qual venerazione debbasi avere per la Religione, pel Principe, e pel Governo.
(Ist., ibidem)

Dunque

sarebbe ridicola cosa il supporre che nelle loro Loggie potessero aver luogo affari concernenti o la Religione o il Principato ... (Ist., ibidem)

E con ciò il nostro appassionato apologeta rintuzza le accuse, certamente risuonate per le calli della Serenissima, e al contempo afferma con vigore il secondo punto delle Costituzioni andersoniane, e lo fa proprio: « un muratore è un pacifico suddito dei poteri Civili... per cui essi (i liberi muratori, n.d.a.) praticamente risposero ai cavilli dei loro avversari e promossero l’onore della loro fraternità, che sempre fiorì in tempi di pace».

Obiettivo della massoneria è altrettanto chiaro: riedificazione del Tempio di Salomone, che non va intesa alla lettera, ma come «opera allegorica che raffigura una riforma del cuore» (Ist., p. 5). A evitare interpetazioni letterali, correnti nel mondo massonico ancor oggi, il nostro autore ribadisce la causa della «riforma»: «la distruzione del Tempio non rappresenta che la caduta dell’uomo dal primo stato felice». Questa sottolineatura dell’allegoria del «tempio dell’uomo» rievoca la memoria di de Maistre al duca di Brunswick (1782), che a proposito del terzo grado caldeggia la lettura allegorica, e soprattutto la sua concezione della massoneria come «Science de l’homme par excellence» 6.
Ma il tema è tipico del rito Rettificato, e lo ricordava Faivre: «Car le Rite Écossais Rectifié réactualize le Temple... Il s’agit pour le maçon de reconstruire le Temple primitif, d’avant la chute, pour y faire entrer de nouveaux Dieu et pour que les hommes eux–mêmes piussent y retourner comme des anfants prodigues, entraînant la nature entière dans cette assomption» 7.
Prosegue infatti lungo l’assioma allegorico del Rettificato il nostro autore delle Istituzioni:

Il Tempio di Salomone, la sua fabbrica e magnificenza, la sua caduta e le sue rovine, il suo ristabilimento e splendore, non figuravano in questa ultima spiegazione se non se il Cuore umano formato da Dio medesimo, ricolmo dei più ricchi doni, e determinato per sua natura al bene, ma poi del tutto corrotto dalla violenza delle passioni. Si voleva, che quello Cuore deplorabile, serbando ancora nel suo avvilimento tratti della passata grandezza, dimandasse che la se rendesse tutta perfetta, qual l’aveva una volta... In questo aspetto non più avevano i Liberi Muratori da apparir occupati in edifizj puramente mondani e terreni... Saranno i Liberi Muratori quel popolo fortunato... di sciogliere l’umano cuore dalle catene di schiavitù sì vergognosa... e di richiamare nel mondo la prima bella innocenza.
(Ist., p. 10)

Dunque il nostro autore prima compara la rovina del tempio alla caduta dell’uomo: «la distruzione del Tempio non rappresenta che la caduta dell’uomo dal primo stato felice»; e infine la ricostruzione del tempio alla restaurazione della «prima bella innocenza» del cuore, seguendo fedelmente persino i termini della Regola di Wilhelmsbad.
Nella Regola massonica approvata a Wilhelmsbad nel 1782 la caduta si condensa nel secondo articolo in accorate esclamazioni: «Homme! Roi du monde!... Etre degradé! malgré ta grandeur primitive...» , e infine, nel nono e ultimo articolo, nella prospettiva delle reintegrazione: «ô mon frère! ... tu recouvreras cette ressemblance divine, qui fut le partage de l’homme dans son état d’innocence» 8.
Il grado di Scozzese di Sant’Andrea ammonisce: «Vous voyez ici les ruines de ce temple célèbre que Salomon fit élever à Jérusalem... Le Temple fut détruit...» 9.

Il nostro autore, tratteggiati con calore principî e fini dell’Ordine, ovvero del Regime Rettificato, si sofferma su due mezzi, con discreto anticipo sulle parole d’ordine della rivoluzione francese, cioè libertà e uguaglianza:

Quanto alla Libertà e alla Uguaglianza, che sono le prerogative preziose che si attribuisce la Società... producono l’effetto maraviglioso di adunar in una medesima Setta i partigiani di qualsisia altra Società, diventando un legame mirabile e universale che riunisce tutti senza pregiudizio di alcuno... La prima fa sparire ogni idea importuna e mortificante di superiorità... La seconda poi produce quella pace deliziosa, quella confidenza così dolce... incompatibile coll’avarizia... Cotesta indipendenza ... altro non è che il ristabilimento di quell’età chiamata dai Poeti Età dell’Oro... Quest’era quel tempo felice, nel quale il cuore libero da ogni passione ne ignorava fino i più semplici movimenti... e in cui gli uomini uguali e sudditi delle sole leggi della Natura non ammettevano altre distinzioni che quelle, cui questa saggia madre aveva posto tra essi, come quella di un padre verso un figliuolo...
(Ist., p. 13)

Anche in questo caso, sebbene l’autore attribuisca a «Cromwello» lo stabilimento della massoneria e dei suoi principî, il modello è la regola di Wilhelmsbad: «fidèle au voeu de la nature, qui fut l’égalité, le Maçon rétablit dans ses temples le droit originaires de la famille humaine» (VIII, I).
A sigillo del Regime Rettificato il nostro autore ha voluto, a fianco del frontespizio, un’ incisione (a sinistra) che sintetizza le ‘anime’ dei gradi: Adhuc stat, Dirigit obliqua, In silentio, et spe fortitudo nostra. E i cinque animali, che vengono mostrati solo a coloro che hanno un «gusto distinto pel sistema dell’Ordine», cioè gli «Architetti o Scozzesi» (Ist., p. 81).

Dunque Istituzioni riti e cerimonie..., l’opuscolo stampato nel 1785, è scaturito dalla «funesta peripezia» occorsa alla Loggia veneziana Fedeltà, aderente alla Prefettura rettificata di «Verona», ed è stato scritto con il preciso obiettivo di consegnare la sua eredità ai posteri: consegnare i principî e i fondamenti del regime Scozzese Rettificato agli uomini di «cuore».
Grazie all’inventario e alle Istituzioni noi dunque disponiamo di preziosi elementi per studiare e approfondire il ruolo dell’Italia nella riforma Rettificata, e proseguire il lavoro di Pericle Maruzzi.
Ma anzitutto abbiamo l’oneroso e al contempo grato compito di vivificare l’eredità che la Fedeltà ci ha consegnato. Essa, con le sue vicissitudini analoghe al Tempio di Salomone, la sua edificazione, il suo splendore, la sua rovina, la sua testimonianza e la sua eredità, costituisce il cuore della nostra colonna infranta: l’allegoria che deve nutrire la riedificazione del tempio dell'uomo.

Perit ut Vivat

1. Maruzzi consultò gli Archives de Bourgogne della loggia zurighese Modestia cum Libertate, e pubblicò Notizie e documenti sui liberi muratori in Torino nel sec. XVIII, ripubblicato nel 1990 col titolo La Stretta Osservanza e il Regime Scozzese Rettificato in Italia nel secolo XVIII (d’ora in poi «MSO»).

2. Il capitolo di Verona era costituito da dodici Fratelli. Cfr. Matricula Specialis Magni Priorat: Italiae. Capitul: des Prioratus von Italien, e Dritte Balley, die Lombardische genannt, in «Archives de Bourgogne», AdB, presso la Modestia cum Libertate di Zurigo (MSO, pp. 302–04).

3. Cfr. MSO, p. 162, da Allgemeines Handbuch der Freimaurerei, Leipzig, 1863–79, I3 385 a.

4. Cfr. Tableaux du + Prefectural de Verone senat à Paoue, in AdB (MSO, p. 162 e p. 316)

5. Gabriele Rossi–Osmida, Venezia maggio 1785, in «Hiram», n. 3, marzo 1988. p. 82.
6. Joseph de Maistre, La Franc–Maçonnerie. Mémoire au Duc de Brunswick, L’Harmattan 1993, p. 69.

7. Antoine Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental, cit. in Jean Ursin, Création et histoire du Rite Ecossais Rectifié, Dervy 1994, p. 177.

8. Regle Maçonnique à l’usage des Loges réunies et rectifiées approuvée au Convent Général del Wilhelmsbad en 5782, art. II, in Jean Tourniac, Principes et problèmes spirituels du Rite Écossais Rectifié et de sa chevalerie templière, Dervy 1969, p. 274 sgg..

9. Hugues d’Aumont, Templiers & Chevalerie spirituelle des hauts grades maçonniques, Trédaniel 1996, p. 66.


[Maurizio Nicosia, da http://www.zen-it.com]

sabato 7 giugno 2008

Templari e Cavalieri di San Giovanni

L'attuale sede del Sovrano Militare Ordine di Malta in Venezia proviene da un palazzo che era dei Templari, e in seguito alla confisca dei loro beni fu assegnato alla "Religione degli Ospedalieri di San Giovanni".
Troviamo la prima notizia dell'insediamento dei Templari a Venezia in un atto di donazione fatta il 9 novembre 1187 da Gerardo, Arcivescovo di Ravenna, di alcuni terreni siti in Venezia in località Fossaputrida, affinché vi costruissero uno spedale e una chiesa; si ha motivo di ritenere che la casa e la chiesa di San Giovanni del Tempio trasferite dopo la soppressione dei Templari ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, fossero quelle dove ha ora sede il Gran Priorato di Lombardia e Venezia. La Fossaputrida sarebbe il territorio di San Giovanni in Bragora, attuale parrocchia in Venezia.

Nel 1313 il Cavaliere frà Nicola da Parma, priore di Venezia dell'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, accompagnato dal Cavaliere fra' Bonaccorso Trevisan, si presentava al doge Soranzo per chiedere che i beni già appartenuti ai Templari fossero riconosciuti proprietà dei Giovanniti. La domanda fu accolta ed essi acquisirono, come si è detto, i conventi e le chiese di San Giovanni del Tempio (dette anche dei Furlani perché in quei pressi abitavano numerosi cittadini provenienti dal Friuli) e di Santa Maria in Broglio (o Brolo).

Ma già prima che pervenissero all'Ordine i beni dei Templari si ha notizia dell'esistenza a Venezia di un Priorato. Infatti, come risulta da un atto del 19 settembre 1263, in quel periodo era Priore fra' Engheramo da Gragnana, al quale successe fra' Guglielmo Bolgaroni.
La più antica raffigurazione del Priorato, ci è data dalla famosa pianta di Venezia delineata da Jacopo de' Barbari nell'anno 1500. Nella xilografia di questo artista, diligente e fedele nel riprodurre la realtà, si vedono disegnati la chiesa e il convento di San Giovanni del Tempio, poi di Malta, nell'aspetto planimetrico e volumetrico che conservano tutt'ora. Infatti, molteplici restauri succedutisi in varie epoche hanno certamente mutato l'aspetto degli edifici, ma non la loro struttura fondamentale.

Perduta Malta nel 1798, ebbe inizio per l'Ordine un periodo molto triste della sua storia. Il Gran Priorato di Venezia, in esecuzione al decreto di Napoleone in data 30 aprile 1806, venne soppresso e i suoi beni divennero proprietà demaniale. Il Commendatore fra' Fulvio Alfonso Rangone, che era in quel tempo Ricevitore e Luogotenente del Gran Priore fra' Giovanni Battista Altieri, dovette consegnare gli edifici al demanio.
Il Luogotenente di Gran Maestro dell'Ordine fra' Carlo Candida, eletto nel 1834, si adoperò energicamente presso la Santa Sede e altri governi ed ottenne la restituzione di molti beni. Nel 1839 furono ricostituiti gli antichi Gran Priorati di Lombardia e di Venezia in un unico Gran Priorato di Lombardia e Venezia, con giurisdizione anche nei territori di Parma, Modena e Lucca, con sede in Venezia, e Ferdinando I Imperatore d'Austria, con patente in data 5 gennaio 1841, restituì ai Cavalieri Gerosolimitani la chiesa di San Giovanni del Tempio, il palazzo priorale e il terreno adibito ad orto.

La restaurata sede del Gran Priorato di Lombardia e Venezia fu inaugurata solennemente il 24 giugno 1843, con l'intervento del Gran Priore fra' Giovanni Antonio Cappellari della Colomba (nipote di Papa Gregorio XVI), del Bali' fra' Federico Arciduca d'Austria. Quest'ultimo doveva poi morire a Venezia nel 1847, e trovar sepoltura nel 1854 nella chiesa priorale in una tomba progettata dallo Zandomeneghi, con iscrizione di Emanuele Cicogna. Numerosi sono gli stemmi dei Gran Priori e di Cavalieri dipinti lungo tutto il chiostro del Gran Priorato.

Sono ora cominciati dei radicali lavori di restauro, atti a risanare il palazzo del Gran Priorato e la Chiesa, che avevano subìto danni notevoli a causa delle alluvioni e delle frequenti alte maree che in questi ultimi anni hanno colpito Venezia.

[dal sito ufficiale dello smom]

venerdì 6 giugno 2008

Il Graal e i misteri di San Marco



La città di Venezia è ricca di leggende su antiche reliquie cristiane dato anche gli stretti rapporti economici con il mondo orientale e così ovviamente non potevano mancare storie sui Templari e il mistico Graal, la coppa nella quale, secondo la leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo.

La via che porta questa favolosa reliquia in città è quella che conduce a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, città conquistata dai Crociati e strettamente legata al capoluogo veneto. In particolare proprio durante la Quarta Crociata cavalieri e mercanti portarono in città cultura e tradizioni mediorientali oltre ai moltissimi tesori provenienti dalla città turca come i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle, dunque non sarebbe impensabile che, nel caso fosse davvero esistito, il Graal nel suo mistico cammino fosse davvero giunto nella città.

La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello. Si narra che questa poi sarebbe stata trasferita successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola le cui due città si spartiscono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere.

I misteri legati alla religione Cristiana non trattano solo di reliquie, ma diverse sono anche le tradizioni legate a l’Inquisizione e piazza San Marco, tracce di angusti ricordi sparsi in una delle più belle piazze d’Italia e spesso celati agli occhi del comune viaggiatore. All’angolo destro della Basilica, ad esempio, è presente un cippo che la tradizione vuole utilizzato per le esecuzioni, mentre guardando le colonne del primo loggiato del vicino Palazzo Ducale, ne possiamo scorgere due di colore differente dalle altre ove, secondo la tradizione, venivano lette le sentenze di morte poi eseguite nella piazzetta antistante o nel vicino Campanile. Ecco così che il meraviglioso Campanile che svetta nella piazza nasconde anch’esso macabri ricordi, infatti è legato alla tradizione del supplizio di cheba, una gabbia in ferro sospesa nel vuoto nella quale i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio anche per lunghi periodi sfidando le intemperie e dunque la morte che presto sopraggiungeva quasi come liberazione. Sempre tra le colonne del Palazzo Ducale, poi, era offerta l’ultima speranza di salvezza, e infatti, sul lato della costruzione che si offre al mare era presente una colonna che ancora oggi appare con il basamento consumato. Ai condannati era offerta una ultima grazia: se fossero riusciti a girar intorno alla stessa senza cadere mai dallo strettissimo basamento sulla quale poggia, operazione davvero impossibile.

[Andrea Romanazzi, da acam.it]

giovedì 5 giugno 2008

Movimento Rosacruciano e Massoneria



I legami del mondo esoterico misteriosofico favorevole alla Riforma sono proiettati in campo politico su due fronti: quello britannico e quello Palatino. Elisabetta, figlia di Giacomo I d'Inghilterra, sposa Federico V, elettore Palatino dell'Impero Asburgico, nel 1613. Il matrimonio è celebrato con una complessa e segreta simbologia nelle Nozze Alchemiche di Christian Rosenkreutz, attribuito a J. V. Andreae. Il Christian Rosenkreutz tedesco come speculare al Cavaliere della Rosa Rossa del The Fairie Queen di Edmund Spenser. Il primo, esattamente come lo sposo Palatino, veste le insegne del Toson D'Oro germanico e quelle dell'Ordine della Giarrettiera britannico. Speranze antiasburgiche e antipapali riposte dai circoli esoterici, kabbalistici e misterici nell'aiuto della Gran Bretagna alla causa Palatina. Subito prima del matrimonio J. V. Andreae ha pubblicato la Fama Fraternitas e subito dopo sono apparsi dei manifesti Rosacrociani che riprendono idee ed inviti ai fratelli rosacrociani invisibili della Fama.

Traiano Boccalini da Venezia, nei Ragguagli dal Parnaso (1612-13), esprime le medesime convinzioni. Un capitolo di quel libro ("Sulla riforma generale dell'Universo") è inserito nelle prime edizioni della Fama Fraternitas di J. V. Andreae. 

Esiste una connessione tra circoli britannici, veneziani e praghesi all'insegna della saldatura tra alchimia, filosofia, kabbalah ed ermetismo: John Dee, Robert Fludd, Guglielmo Postel, Triaiano Boccalini e Michael Maier. Prodromi dell'Illuminismo Filosofico settecentesco nelle opinioni dei Rosacroce.
Michael Maier affera esistere nel 1622 a l'Aja una società di alchimisti che si facevano chiamare Rosa-Croce. Friedrich Nicoali (1783) riprende la notizia dicendo che tale società aveva ramificazioni internazionali ad Amsterdam, Norimberga, Amburgo, Danzica, Erfurt, Mantova e Venezia: i membri vestivano cordone bleu con croce d'oro sormontata da una rosa. Statuti e organizzazione sarebbero in libri, redatti da massoni, non facilmente reperibili.

E' da sottolineare comunque che alcuni autori ritengono pressoché inutili le ricerche sulle formazioni storiche autodefinitesi Rosacrociane. Il termine Rosa Croce sarebbe riferito precisamente ad un particolare grado e dignità iniziatica, la cui trasmissione non è di per sé collegata ad una struttura stabile. L'invisibilità di cui parlano i manifesti Rosacrociani di Andreae sarebbe quindi riferita alla principale caratteristica degli iniziati Rosacrociani, che mai manifestano tale status e per di più non fanno riferimento ad una società od Ordine.

Il Frosini afferma la Massoneria esistere a Venezia dal 1535 sino al 1686, data in cui fu interdetta, senza citare le fonti. E' possibile una continuità storica con il passato e la successiva Massoneria speculativa dell'Illuminismo. Ultimo anello della catena potrebbe essere costituito dalla setta ereticale di Fausto Socino.

Per la Massoneria ufficiale non è dato sapere se essa sia stata introdotta a Venezia dopo la visita del Gran Maestro della Loggia di Londra, sir Thomas Howard, nel 1729, o se sia stata ufficializzata sotto nuova forma, utilizzando una precedente attività latomistica camuffata. A questo proposito il Sagredo fornisce notizia della scoperta di una conventicola di Liberi Muratori in una casa  della Madonna dell'Orto: missionari francesi avrebbero fondato tale società.

La nascita della Massoneria veneziana moderna avviene all'epoca di Casanova e Goldoni. Venezia torna comunque indirettamente alla ribalta ad  opera di J. E. Marconis de Négre, figlio di un ufficiale dell'armata francese in Egitto, che istituisce la Società dei Saggi della Luce. Sostiene la conversione del prete egiziano Ormuz da parte di San Marco e la linea di trasmissione iniziatica dagli Esseni sino ai Cavalieri Gerosolimitani in Svezia e Scozia. Qui sorge la moderna Società dei Saggi della Luce, che reca nel suo sigillo il familiare leone di San Marco con il Vangelo aperto. A Venezia, con Cagliostro, nasce anche il filone Egiziano.

mercoledì 4 giugno 2008

I tajapiera veneziani, la tecnica

A Venezia, a partire dal 1300, inizia la "pietrificazione" della città. Al posto del legno, usato fino ad allora nell'edilizia, viene impiegata come materiale da costruzione soprattutto la cosiddetta pietra d'Istria, proveniente dall'altra sponda dell'Adriatico, una pietra sedimentaria, particolarmente resistente all'acqua salata.
In massima parte, ponti, case, chiese e palazzi di Venezia sono costruiti, decorati e rivestiti di pietra d'Istria.

Nel corso dei secoli a Venezia si è consolidata una speciale tecnica di lavorazione della pietra, che comporta l'uso di metodi e di strumenti particolari, che si differenziano molto da quelli adoperati, ad esempio, per la lavorazione del marmo (così come, per fare un paragone, la lavorazione dei metalli è differente a seconda del tipo di metallo impiegato).
Ci sono alcuni strumenti principali che sono arrivati fino ai nostri giorni inalterati e sono per ordine d'uso i seguenti:

s-ciapìn, scalpello che serve per iniziare a squadrare il blocco di pietra e cominciare il lavoro: consente di salvare lo spigolo (se ne usano varie misure: da forza o da lavoro delicato);
le punte: lunghe per lavori imponenti (es. scavare una vra da pozzo), medie e corte con variazioni di diametro per lavori più fini (es. scultura e ornato);
scalpelli: di varie misure, di larghezze variabili sia dalla parte del taglio che nel diametro, perché lunghezza, larghezza e diametro determinano scarichi di forza differenti; tra gli scalpelli particolare importanza ha la gradina che consente di lavorare senza "offendere" la pietra, toglie il sovrappiù senza penetrare troppo; altro scalpello che non "offende" è l'ongèa (che ha la forma di un'unghia), non ha spigoli, non si pianta e non fa danni;
martelli: per le superfici da raddrizzare o da squadrare si usano: lo sgrafòn, che è simile ad un'ascia, come per il legno, o la martellina, più leggera; ci sono poi la bocciarda, quadrata, con piastrine fisse o intercambiabili, di varie misure, per rendere ruvida la pietra e creare contrasti con le altre parti lisce, e la mazzetta che serve per battere sullo scalpello.

Vi sono inoltre vari tipi di trapani, di compassi e molti altri strumenti che sarebbe troppo lungo elencare.
Del resto la specificità del lavoro del tajapiera è determinata non soltanto dal tipo di attrezzo, ma anche dalla durezza e dalla qualità dello strumento. Spesso entra in gioco la "tempera". Gli scalpelli a Venezia vengono ancora forgiati da fabbri esperti ed in mancanza di questi dagli stessi scalpellini/scultori.

Spesso c'è un rapporto stretto, quasi soggettivo, del "tagiapiera" con i suoi strumenti, come l'autista con la sua macchina, il gondoliere con la sua gondola.
E inoltre è necessario conoscere il materiale. L'abilità del tajapiera sta proprio nel saper decidere quale attrezzo usare a seconda del tipo di pietra che ha di fronte.
La pietra d'Istria più adatta alla scultura era l'orsera (dal nome della località dove veniva estratta), mentre per le fondazioni, le difese a mare, le rive, veniva impiegata una pietra di qualità meno pregiata, detta "grigia". Sono materiali che oggi non si trovano quasi più, perchè non sono più commerciati.

Oggi Venezia, un poco alla volta, sta perdendo la sua identità, anche perchè ormai sta perdendo la categoria di lavoratori che l'hanno costruita.

[Roberto Giusto, archeove]

lunedì 2 giugno 2008

Mondo Massonico e Alchimia



Il legame più sicuro è con l'alchimia filosofica dei Rosacroce, nel XVII secolo. Ma c'è un intreccio col mondo filosofico dell'alchimia fin dal Medioevo.
I primi alchimisti individuabili storicamente a Venezia potrebbero essere appartenuti alla corporazione dei Vetrai, presenti già prima del 1255 in città e successivamente trasferiti d'ordine a Murano per problemi di sicurezza (incendi). 

Di sicuro, la famiglia di Angelo Baroviero raccoglie il segreto della fabbricazione di un famoso vetro trasparente dall'alchimista marchigiano Paolo Godi di Pergola e lo trasmette ai suoi discendenti sino al XV secolo.

Una decisione del Consiglio dei Dieci (17 dicembre 1488) vieta severamente l'esercizio dell'alchimia. Il provvedimento è rivolto principalmente contro i contraffattori d'oro, così come la bolla Spondent Pariter (1317), emanata da Giovanni XXII. L'alchimia tradizionale rimane il vero oggetto di conoscenza: allo stesso Papa viene attribuito il trattato Ars Trasmutatoria, stampato postumo (1557).

Sembra accertata la presenza a Venezia di una società segreta di alchimisti, detta Voarchadumia, attiva tra il 1450 e il 1490. Una società che ha ramificazioni internazionali. Tra i membri illustri sir George Ripley, canonico britannico. Nel 1530 (nel 1478 secondo altre fonti), a Venezia, Johannes Augustinus Pantheus, sacerdote veneziano, pubblica un voluminoso trattato che ha lo stesso nome, Voarchadumia, l'oro dei due rossi o della cementificazione perfetta, dedicato al Doge Andrea Gritti. Pantheus dedica inoltre un precedente lavoro, L'Arte della trasmutazione perfetta, all'amico polacco Hyerosky, grande conoscitore di testi alchemici. Le opere di Pantheus sincretizzano per la prima volta, in modo organico, Kabbalah e Alchimia.

Nel 1585 il nobile veneziano Francesco Malipiero viene condannato a morte per magia, stregoneria e alchimia. Nello stesso periodo, un alchimista al servizio di Enrico I di Buglione (1556-1653) ottiene dallo stesso, dopo avergli trasmesso la ricetta per fare l'oro, un finanziamento per recarsi al congresso generale degli alchimisti a Venezia.

Bibliografia
J. Van Lennep, Alchimie, Paris, Dervy-Livres
A. Waldstein, Lumieres d'Alchimie, Paris, 1973
Francois Secret, Les Kabbalistes Chretiens de la Renaissance, Paris, 1964
G. De Castro, Fratellanze segrete, Messaggerie Pontremolesi, Milano, 1990

domenica 1 giugno 2008

Massoneria e Templari a Venezia



Fonti conoscitive comuni, derivate dal mondo romano, legano Corporazioni Murarie e Templari, entrambi costruttori di monasteri, chiese, fortezze, strade.
Bernardo di Clairvaux redige i 62 capitoli della Regola Templare dopo il concilio di Troyes (1128): il veneziano Giovanni Michiel figura quale scrivano estensore della Regola e come successivo affiliato all'Ordine. Probabile identificazione dello stesso col figlio del Doge Vitale, vessillifero della Serenissima della seconda Crociata (1147-49).

La presenza Templare a Venezia è attestata sin dal 1187: dal lascito di un terreno denominato Fossa Putrida, per l'edificazione di una Chiesa dell'Ordine da parte del vescovo di Ravenna. E dall'edificazione di S. Maria in Capite Brogli, nell'area detta dell'Ascensione a S. Moisé (prima sede del Priorato) e dell'ospizio di S. Giovanni Battista del Tempio alla Bragora, detto S. Giovanni dei Furlani (seconda sede) dall'omonima calle adiacente. Documenti del 1247 e 1303.

Guerra commerciale tra Veneziani e Genovesi in Acri (Tolemaide) nel 1256. Tra gli alleati dei Veneziani, i Cavalieri Teutonici, ed i Templari: ai primi la Serenissima dona un terreno per l'edificazione del monastero della SS. Trinità, ai secondi una forte somma per l'ampliamento e il miglioramento del già esistente Priorato.

Probabile presenza Templare alla Giudecca, presso la Chiesa e l'Ospitale per pellegrini di S. Biagio. Consacrazione della stessa nel 1188 attestata da lapide con tau Templare all'inizio del testo. Rinvenimento di croce bizantina nel cimitero della stessa Chiesa, a forma di tau. Il precedente nome dell'isola (Spina Longa), San Biagio come patrono, e la presenza di corsi d'acqua di facile navigazione, fanno pensare ad una sede templare tipica. Il nome Giudecca è forse derivato dal termine Zudegà (aggiudicato), dopo lo scioglimento dell'Ordine (1312).

Nel XIV secolo frà Sebastiano Michiel, Gran Priore dell'Ordine Gerosolimitano, assegnatario di gran parte delle commende Templari, rivendica autonomia dallo Stato ed obbedienza solo al Papa ed al suo Gran Maestro. Bernardo Giustinian, Gran Maestro dell'Ordine dei Malta, critica il processo ai Templari ed esprime fede nella resurrezione dello stesso.

Simboli e croci Templari residuano a Venezia, in Campo della Carne ed in Campo e nella Chiesa della Maddalena.

Autori della metà del XVIII secolo sostengono eredità e continuità dell'ordine Templare sotto le bandiere della Massoneria. Essa coprirebbe un Ordine di Superiori Incogniti per la restaurazione dell'Ordine. L'esoterismo Templare sarebbe stato acquisito dagli arabi (Assassini) e dalla Chiesa esoterica cristiana di San Giovanni Battista, precursore della Vera Luce: la festività del Santo coincide con il solstizio d'estate, al 24 giugno.
La devozione dei Templari a San Giovanni spiegherebbe la devozione tributata, anche a Venezia, alla testa del Santo, custodita post mortem dai discepoli e da essa trasmessa ai Templari: ricordiamo l'ipotesi di identificazione della stessa col cosiddetto Baphomet.