venerdì 30 maggio 2008

Giordano Bruno. Fede, filosofia ed eresia.



Da lui presero poi esempio, soprattutto in Germania e in Inghilterra, vari circoli di giordanisti e taluni cenacoli, più o meno segreti, che dovevano contribuire, in misura determinante, alla formazione del sistema simbolico della Massoneria moderna, comprendente innanzitutto due filoni di cui Giordano Bruno era stato maestro.
Il primo era l'arte della memoria, non già intesa come pura e semplice mnemotecnica, bensì quale branca sapienziale che si appoggia al gioco di analogia delle immagini, affinché l'uomo possa risalire alle idee primordiali, agli "archetipi".
Il secondo filone era la reinterpretazione dell'astrologia, non più chiamata a farsi creatrice di oroscopi, ma rivolta piuttosto a ospitare, nelle sue figurazioni, i molteplici segni de "le virtude e potenze dell'anima". Compiti immani e veramente "magici", nel senso più completo della parola, e che buona parte della Libera Muratoria si affretterà a dimenticare o per un più appagante e generico umanitarismo o scadendo nella più trita pratica occultistica. Ma chiediamoci: come mai, e perché, Giordano Bruno giunse alle formulazioni che dovevano condurlo sul rogo a Campo de' Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600, dopo otto anni di durissima prigionia nelle carceri della Santa Inquisizione? Ricordiamo alcune tappe della sua vita.
Nato a Nola, nel 1548, da famiglia contadina o piccolo-borghese, entrato nell'Ordine Domenicano a soli quattordici anni, consacrato sacerdote nel 1572, addottorato in teologia tre anni più tardi, Giordano Bruno dovette fuggire da Napoli, dove aveva studiato, perché, nel 1576, fu intentato contro di lui un primo processo per eresia, a causa di talune conclusioni a cui era pervenuto con un accanito lavoro di esegesi biblica.
Egli sosteneva, tra l'altro, che Dio come Mente era trascendente la Natura, ma come Intelletto ne era il cuore e la matrice e, in quanto Spirito, si identificava con l'Anima Universale. Concetti piuttosto difficili da accettarsi da parte delle autorità cattoliche dell'epoca, tanto più che il loro autore si appoggiava a essi per avanzare riserve sul culto della Vergine Maria e sul valore religioso dell'Eucarestia, così come veniva amministrata.
Ingiustamente accusato di complicità in un assassinio, Giordano Bruno, deposto l'abito ecclesiastico, dovette fuggire anche da Roma, iniziando così il lungo peregrinare di tutta la sua esistenza, dapprima nell'Italia settentrionale e poi in tutta Europa, ora accolto con tutti gli onori, ora contestato tumultuosamente, come gli accadde a Parigi, dove gruppi di studenti esaltati gli negarono ogni possibilità d'insegnamento, poiché si contrapponeva in tutto e per tutto alla filosofia di Aristotele (384-322 a.C.) e dei suoi seguaci, allora di gran moda. Il fatto non deve sorprendere.
Il pensiero di Giordano Bruno, guardato con critica profana, era ed è un curioso miscuglio di assiomi "progressisti" e "reazionari": egli appoggiava la concezione copernicana del nostro sistema planetario, giungendo a concepire l'universo come un'unità cosmica, infinita per estensione e per il numero di stelle e di pianeti che lo compongono, ma auspicava, altresì, che si rivivificasse il mondo degli dèi egizi, in quanto riteneva si trattasse della prima e più pura formulazione della religione dell'intelletto.
Analogamente, non v'era dubbio, per Bruno, che solamente una fosse la sostanza-base dell'Universo, ma il suo atomismo non era materialistico: la materia era anch'essa manifestazione della vita e doveva, e poteva, suscitare un'esaltazione lirica.
Non stupirà, dunque, che, per il filosofo di Nola, quattro fossero le scienze sacre per eccellenza: l'Amore, l'Arte, la Magia e la "Mathesis divina", ossia la speculazione o calcolo astrale, l'Astrologia, insomma, nella sua più alta accezione. Quattro discipline che potevano condurre all' "Atrium Apollonis", all' "Atrium Minervae o all' "Atrium Veneris", ciascuno dei quali conduceva, a sua volta, a una combinazione ternaria, ora definita come "Mens", "Intellectus" e "Amor", ora, mitologicamente, rappresentata dal triangolo greco-egizio di Bacco, Diana e Hermes Trismegisto.
Notevole l'attività letteraria- filosofica: già nel 1582, a Parigi, pubblicava il "De umbris idearum"; nel 1584, a Londra, il "De l'infinito universo et mondi", "De la causa principio et uno", "Cena de le ceneri", "Spaccio de la bestia trionfante" e, nel 1585, "Degli eroici furori". A Francoforte, tra il 1590 e il 1591, pubblicò i poemetti latini "De triplici minimo et mensura", "De monade numero et figura", "De immenso et infigurabili et innumerabilibus". Poi gli ultimi, terribili anni che lo portarono alla fine, come già sopra in parte anticipato.
Chiamato a Venezia (nel 1591) dal nobile Giovanni Mocenigo, che voleva apprendere l'arte della memoria, fu denunciato dal suo discepolo al tribunale dell'Inquisizione come eretico, per cui venne arrestato e imprigionato (1592).
Durante il processo, Giordano Bruno si dichiarò disposto a fare ammenda; però la Repubblica di Venezia lo consegnò all'Inquisizione di Roma, dove venne sottoposto a nuovo processo.
Dopo otto anni di prigionia, il più grande e audace pensatore del Rinascimento, che non volle abiurare la propria filosofia, ma non tenne neanche un contegno chiaro e netto, venne condannato a morte da papa Clemente VIII (1535-1605; pontefice dal 1592). Il 17 febbraio 1600, in Campo de' Fiori, venne arso sul rogo.

[Mario Leocata in iltempo.it]