giovedì 29 maggio 2008

Simbologia e attività massoniche nella Serenissima Repubblica di Venezia


Il palazzo dei Dogi in Venezia è senza dubbio alcuno una struttura magnifica. La sua costruzione risale al nono secolo, prosegue e si evolve assieme alla Serenissima Repubblica, sino ad assumere la sua forma attuale attorno alla metà del ’400. Lo stretto legame fra la Basilica di San Marco e il Palazzo, entrambi edifici dogali, ha visto nella prima la metafora del Santo Sepolcro e nel secondo quella del Tempio di Salomone. Ma i veneziani, certamente desiderosi di affermare il primato della propria città in quanto nuova Gerusalemme, nel costruire e completare la sede del governo della città-stato hanno pensato, e non poteva essere altrimenti, a un palazzo: la reggia di Salomone.

Le 36 colonne che sostengono la struttura fanno pensare ai tronchi di una foresta le cui chiome sono rappresentate dai capitelli sui quali spicca una rigogliosa vegetazione. L’albero, nel mondo cristiano, rappresenta il desiderio del cielo, la potenza e la grandezza regale. Non è da escludere che l’immagine del Palazzo abbia preso spunto da quella della reggia edificata da Salomone: "Costruì il palazzo detto Foresta del Libano, lungo cento cubiti, largo cinquanta e alto trenta, su tre ordini di colonne di cedro e con capitelli di cedro sulle colonne" (1 Re 7, 2).

Se ci si avvicina al palazzo, si scopre che tra le foglie dei capitelli spuntano creature di ogni sorta. Fra il porticato e il loggiato si possono contare 582 figurazioni! Personaggi biblici e mitologici, pianeti e segni zodiacali, sapienti e imperatori, dame e cavalieri, santi e artigiani, animali e mostri, vizi e virtù si susseguono in quello che a prima vista può sembrare favoloso, ma anche caotico e indecifrabile, mentre altro non è se non la rappresentazione dell’universo e della storia dell’umanità dalla creazione di Adamo in poi. La progettazione e la realizzazione dei capitelli del porticato e del loggiato e di tutte le sculture esterne avvenne tra il 1340 e il 1355. In questo periodo si ha traccia della presenza di due "architetti", tali Pietro Baseggio e Henricus "tajapiera" che in lingua veneta significa letteralmente tagliapietre, che hanno la qualifica di "protomagister" e che sovrintendono al lavoro di innumerevoli carpentieri, muratori e scalpellini veneziani, toscani e lombardi come i "magistri comacini".

Il primo capitello che ci interessa dal punto di vista massonico è il quinto a partire dal Ponte della Paglia, dal quale viaggiatori di tutto il mondo da secoli ammirano il famoso Ponte dei Sospiri. Si tratta del capitello detto "degli imperatori", che sono: Tito, Traiano, Priamo, Nabucodonosor, Alessandro il Grande, Dario, Giulio Cesare e Ottaviano Augusto. È interessante notare che Nabucodonosor fu responsabile della distruzione del primo tempio di Gerusalemme nel 587 a.C., mentre Tito distrusse l’ultimo nel 70 d.C. Sul nono capitello troviamo descritte le Virtù: Fede, Forza, Temperanza, Umiltà, Carità, Giustizia, Prudenza e Speranza. La Giustizia è rappresentata da re Salomone sul suo trono. Il diciassettesimo capitello vede elencati uomini famosi per saggezza, arte e scienza. Essi sono: Salomone, Prisciano, Aristotele, Cicerone, Pitagora, Euclide, Tubalcain e Tolomeo. Elenca anche le arti e scienze liberali del Trivium e del Quadrivium. Le iscrizioni sull’abaco del capitello ci aiutano a capire. Dopo SALOMON SAPIENS, il sapiente Salomone, troviamo PRISCIANUS GRAMMATICUS (la grammatica), ARISTOTELES DIALECTICUS (la dialettica) e quindi Marco Tullio Cicerone, TULLIUS RHETOR (la retorica). Subito dopo vediamo Pitagora (che mi fa pensare al "Peter Gower" e ai "Venetians" del Leland M. S.) che ovviamente simboleggia la matematica ed è naturalmente seguito da Euclide (EUCLIDES GEOMETRICUS), raffigurato con in mano un compasso. Segue Tubalcain che è descritto come TUBALCAIN MUSICUS in quanto probabilmente confuso con Jubal, il biblico "padre dei musicisti di cetra e di salterio" (Genesi 4, 21). Chiude il capitello TOLOMEUS ASTROLOGUS, il famoso astronomo vissuto nel secondo secolo dopo Cristo. Tubalcain, che secondo la Bibbia (Genesi 4, 22) fu il primo uomo a lavorare il ferro e il bronzo, secondo la tradizione massonica è stato il primo artista a lavorare i metalli: come mai qui è diventato un "musicus"? Sarebbe stato più logico trovarlo menzionato sull’abaco del ventunesimo capitello, quello dei mestieri, lì dove è scritto FABER SUM (sono il fabbro). Il diciottesimo capitello, che secondo John Ruskin è il più interessante e il più bello, è quello che rappresenta i pianeti, il Sole e la Luna, nelle sedi dello Zodiaco. Il diciannovesimo capitello è quello dei santi scultori, con il quale i "tajapiera", ossia i muratori e gli scalpellini veneziani, onorano i loro santi protettori e in particolare i "Quattuor Coronati": san Claudius, san Chastorius, san Nichostratus e san Simphorianus. Sul capitello è rappresentato anche san Simplicius che non è coronato. Il ventunesimo capitello, quello dei mestieri, rappresenta sul primo lato, quello rivolto verso la piazzetta, il LAPIDICA, come si legge sull’abaco, il lavoratore del marmo, con martello e scalpello. Il ventiduesimo capitello rappresenta l’Astrologia e l’influenza degli astri sulle sette età dell’uomo (infanzia, fanciullezza, adolescenza, giovinezza, età adulta, età matura e vecchiaia), infine, sull’ottavo lato del capitello, l’ineluttabile conclusione: il vecchio è steso sul letto di morte, le mani incrociate sul petto, il capo posato su di un cuscino. Sull’abaco è incisa l’iscrizione: ULTIMA AETAS EST MORS POENA PECCATI (l’estrema età è la morte, conseguenza del peccato).

La Repubblica di Venezia, la cui data di nascita potrebbe essere fissata nell’anno 726, quando fu eletto il primo dei suoi 117 dogi, cessò di esistere il 12 maggio 1797. Per quasi 1100 anni essa manifestò sempre un vero culto della giustizia. Leggi severissime difendevano lo Stato dai traditori e i cittadini dal sopruso, dal delitto e dalla truffa. Salomone, il re-giudice ispirato da Dio, simboleggia meglio di ogni altro questo alto e nobile concetto della giustizia. Sopra la colonna numero 36, all’angolo nord-ovest del Palazzo, lo troviamo nuovamente con il gruppo scultoreo intitolato "Giudizio di Salomone", dove le due madri si contendono il bimbo che il re saggio, mettendo in gioco l’amore materno, ordina di tagliare a metà.

A partire dall’anno 1000 si trovano i primi indizi della presenza anche a Venezia di "congregationes o scholae", consorterie o confraternite religiose e di mestiere. Attorno alla metà del tredicesimo secolo le corporazioni di mestiere sono legalmente costituite e riconosciute dal pubblico potere, ad esempio ricevono gli statuti dal magistrato competente. Questi statuti si chiamavano in origine "capitularia, statuta o ordinamenta". I capitoli o assemblee generali si riunivano nella sala della scuola, chiamata "albergo", avevano un presidente chiamato "gastaldo", un vicepresidente chiamato "vicario" e parecchi "compagni" che componevano il consiglio. C’erano anche un tesoriere, chiamato "cassiere", e un segretario, chiamato "scrivano". Nessun confratello poteva rifiutare l’ufficio cui era stato eletto. Questo dovere è menzionato per la prima volta nello statuto degli speziali dell’aprile del 1258. Sin dal 1271 le consorterie veneziane stabilirono di destinare una parte delle loro vendite a sollievo dei poveri e degli infermi. Più tardi pensarono alla pensione delle vedove e alla tutela degli orfani e istituirono particolari ospedali per i compagni malati. Accanto alle consorterie delle arti e dei mestieri prosperavano anche le scuole di devozione o confraternite religiose, che non adunavano più soltanto i fratelli della stessa arte, ma erano aperte a tutti. Esse erano completamente autonome per quanto riguardava la piena libertà di eleggere i capi e di redigere i propri statuti, salvo l’obbligo di non violare gli ordinamenti dello Stato e di non operare contro l’onore del Doge. Alcune di queste scuole, come quella di San Giovanni Evangelista, avevano l’abitudine di iscrivere, come fratelli, illustri personaggi anche stranieri, compreso anche qualche inglese, come un certo barone Odoardo Vindefor (sic) morto a 41 anni nel 1574 e sepolto nel complesso dei Santi Giovanni e Paolo.

A questo punto appaiono molti e chiari i punti di contatto, anche sconcertanti, tra le fraternite veneziane e le prime logge dei Liberi Muratori, anche se manca la caratteristica peculiare del segreto e non abbiamo traccia alcuna di rituali. Se le fraternite veneziane avevano dei segreti da tutelare sembra ci siano riuscite benissimo. Per quanto riguarda i rituali appare logico che essi non fossero scritti, ma imparati a memoria e tramandati oralmente nella migliore tradizione massonica. È presumibile che con il decreto del Senato che alla fine del 1500 proibì ai patrizi l’ingresso nelle scuole e mise molti divieti e restrizioni ai rapporti degli stessi con gli stranieri siano state coperte molte tracce. La Massoneria moderna, quella speculativa, quella inglese, quella di Anderson e di Desaguliers, arriva in Italia nel 1729, quando un inglese, Charles Sackeville, duca del Middlesex, fonda una loggia a Firenze, assieme ad altri inglesi ivi residenti, come ad esempio sir Horace Mann, e al primo "martire" della Massoneria italiana, il poeta Tommaso Crudeli. Durante quello stesso anno soggiornò a lungo in Italia e si fermò a Venezia e Firenze Thomas Howard, ottavo duca di Norfolk e prominente Massone. Della loggia di Firenze facevano parte anche Antonio Cocchi, medico personale di Theophilus Hastings, conte di Huntingdon, e l’abate Antonio Niccolini, mecenate coltissimo, famoso per la ricchezza della sua biblioteca, amico di Montesquieu, del principe di Galles e di Walpole. Nel contempo il padovano Antonio Conti, che in Inghilterra aveva conosciuto sia Newton che Desaguliers, nonché il duca di Montague e il cavalier Ramsey, faceva visitare Venezia a Montesquieu, che a quel tempo non era ancora iscritto alla Massoneria, ma che ad essa non era sicuramente indifferente. Altri personaggi veneti che avevano relazioni con Londra, la Royal Society e i circoli massonici francesi e inglesi erano Francesco Algarotti e Scipione Maffei, che secondo Montesquieu era il fondatore di una loggia di Verona. Si può quindi ipotizzare che già dal 1730 esistesse una Massoneria veneta.

La decadenza della Serenissima Repubblica di Venezia inizia con la scoperta dell’America, avvenuta nel 1492, da parte, ironia della sorte, proprio di un cittadino di quella Genova che per secoli era stata nemica e in guerra contro Venezia: Cristoforo Colombo. A dispetto della decadenza politica, militare e commerciale, Venezia non era ancora disposta a subire più di tanto le interferenze straniere o in ogni modo esterne e non gradite. Ecco perché le bolle pontificie "In eminenti apostolatus specula" del 1738 e "Providas romanorum pontificum" rimasero, almeno nel territorio della Repubblica, lettera morta. Nel 1754 un medico francese di nome Bresson venne denunciato dal parroco e arrestato perché appartenente alla setta dei Franchi Muratori. Il fatto provocò l’intervento del Senato che liberò il francese e arrestò il prete, riaffermando, all’interno del territorio della Repubblica, la sua assoluta potestà legislativa e portando con questo suo atto le relazioni diplomatiche con Roma al limite della rottura. Nel 1727, in un teatro di Verona, venne rappresentata una commedia dal titolo "I Franchi Muratori". Nel 1746 il cavalier Alticozzi pubblicò la sua "Relazione della compagnia de’ Liberi Muratori". Non molto successo ebbe in teatro la commedia di Francesco Griselini "I Liberi Muratori", mentre grande successo ebbe durante il carnevale del 1753 la commedia "Le donne curiose" di Carlo Goldoni.

In quello stesso anno il più famoso di tutti i veneziani, Giacomo Casanova, torna a Venezia. Il 21 agosto 1755 viene arrestato, non perché Massone, ma per via della sua condotta libertina e spregiudicata. Negli anni seguenti si diffondono anche nel Veneto sette come quella degli Eletti Coen e sistemi come quelli della Stretta Osservanza e degli Illuminati di Baviera, quasi in contrapposizione alla Massoneria inglese, filantropica e al di sopra di ogni contrasto politico o religioso. A partire dal 1772 l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle logge si modifica in seguito alla svolta conservatrice impressa alla politica veneziana da Andrea Tron. Nello stesso anno la Gran Loggia inglese dei Moderns concede la patente numero 438 ad una loggia di Venezia denominata "L’Union" e la patente numero 439 ad una loggia di Verona. Queste due logge inglesi hanno probabilmente cessato di operare nel 1777-1778. Nella Serenissima abbiamo quattro nuove logge di cui si conoscono anche i nomi: "L’Amore del prossimo" a Padova, "I veri amici" a Vicenza, "La vera luce" a Verona e "La fedeltà" a Venezia. La loggia "L’Union" numero 438 era stata fondata dal segretario del Senato, Pier Antonio Gratarol, e vedeva fra i numerosi Fratelli, che come nelle logge inglesi appartenevano alle più diverse estrazioni sociali, molti nobili, borghesi ed ebrei; contava fra i suoi membri anche un olandese e due o tre inglesi. Se confrontiamo gli elenchi degli iscritti a "L’Union" (1772) con quelli degli iscritti a "La fedeltà" (1785) possiamo notare la scomparsa di nomi stranieri ed ebrei e la preponderanza di aristocratici e funzionari dello Stato. Nel 1785 un governo sempre più preoccupato della sua sopravvivenza in un mondo che cominciava a cambiare troppo rapidamente, dove i concetti di libertà, uguaglianza e fraternità sfuggivano di mano, uscivano dal salotto e diventavano dirompenti e rivoluzionari, ordinava la chiusura delle logge, cosa che avvenne, come tutto a Venezia, senza troppo rumore. Di lì a pochi anni, il 12 maggio 1797 la Serenissima Repubblica di Venezia si arrendeva, stanca, sfinita e imbelle, una pallida ombra di quello che era stata, a Napoleone Bonaparte. L’ultimo Doge, Lodovico Manin, si spogliò in fretta delle insegne ducali e, prima di lasciare il Palazzo Ducale, consegnò al suo fidato cameriere personale Bernardo Trevisani la cuffietta di tela bianca che i Dogi portavano sotto il corno, e con flemma tutta veneziana disse: «Tenete, questa non l’adopero più». Così si conclude la storia della Serenissima Repubblica di Venezia. Quella della Massoneria veneta, invece, prosegue fino ai giorni nostri con alterna fortuna, ma, almeno per il momento, non ci interessa, anche perché entra a far parte di una storia più vasta, quella della Massoneria italiana.

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[Alessandro Bonelli, da Hiram]