E' uscito Miti e Riti nel pensiero Tradizionale, di Gastone Ventura, a cura di Stefano Momentè.
In questo volume, che raccoglie alcuni lavori già pubblicati, ma da tempo fuori catalogo, e un inedito, tratto da una conferenza del 1971, c’è l’essenza del credo esoterico e tradizionale di Gastone Ventura. A cominciare dal significato della parola Conoscenza, nel senso spirituale del termine, che nulla ha a che vedere con la moderna accezione di cultura di massa. Un Sapere tradizionale - per Ventura - che si fonda sui principi universali della metafisica, contro il sapere modernamente definito, quello della divulgazione massificata, invece, esclusivamente analitico ed esteriore. I messaggi della Tradizione sono il filo rosso che unisce i testi raccolti in questo volume. Messaggi che arrivano attraverso quella che Ventura definisce Via Sanguigna, l’ereditarietà, i richiami verso un lontanissimo passato, uno stato di coscienza particolare, la memoria e il pensamento. Messaggi velati e ri-velati e incomprensibili ai più. Gastone Ventura ne affronta lo studio utilizzando le chiavi fondamentali della Tradizione: simbolo e mito.
Massonico, infine, è l’argomento di una conferenza che Gastone Ventura tenne nel 1971 a Venezia. Una conversazione sul Rito Scozzese Antico ed Accettato, nella quale, a distanza di trent’anni, ritroviamo elementi sempre attuali, ma anche un’interessante rilettura storica ed esoterica.
A cominciare dalle origini: quella presunzione di appartenenza agli Ordini cavallereschi sulla quale Ventura nutriva serissimi dubbi. Ma anche le chiare, controverse se vogliamo, posizioni del Nostro sulle donne in Massoneria e sull’invocazione al Grande Architetto dell’Universo.
Un documento fondamentale, insomma, per comprendere la storia e la fortuna di questo Rito.
Gastone Ventura (1906-1981), di nobile famiglia parmigiana, giunta nel Veneto in età napoleonica, viveva a Venezia.
Viceammiraglio della Marina Italiana, fu giornalista, critico, scrittore ma, soprattutto, per nostra fortuna, ricercatore metafisico di profonda onestà.
Ventura orientò i suoi studi alla soluzione di questioni storico-tradizionali, fin dal tempo dei primi viaggi in Egitto, Yemen, India e Africa orientale.
La sua morte ha lasciato un vuoto profondo nel panorama dell’esoterismo internazionale. Soprattutto in ambito Martinista, ma anche in Massoneria: fu lui infatti a risvegliare e guidare l’Antico e Primitivo Rito Orientale di Misraim e Memphis.
Stefano Momentè, è giornalista e si occupa professionalmente di editoria e comunicazione. Ricercatore esoterico, da molti anni si interessa di filosofie e religioni orientali e studi tradizionali.
PER INFORMAZIONI:
atanor.editrice@libero.it
Gastone Ventura
Miti e Riti nel pensiero Tradizionale
a cura di Stefano Momentè
Atanòr Editrice
pagine 150
ISBN 978-88-716921-4-87
Prezzo: 13,50 Euro
sabato 27 febbraio 2010
Miti e Riti nel pensiero Tradizionale
sabato 3 ottobre 2009
Massoneria e Illuminismo a Venezia
Venezia, bella nel 1707, quando nacque Carlo Goldoni, così come nel 2008; bella nella sua grazia forte e struggente, Venezia dove l'aria è molle e vaporosa, l'acqua e il cielo hanno tutti i colori, tutti i toni più estenuanti e più suadenti, e chiese e palazzi e campanili sono parte e cornice e scenografia del quadro, del sogno orientale...
Così scrive Giancarlo Galan - Presidente della Regione Veneto - nella sua presentazione al libro Massoneria e Illuminismo a Venezia - Carlo Goldoni e Le Donne Curiose, dedicando altresì questo libro a quella Venezianità di cui si è fatto carico Luigi Danesin - già Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia degli A:. L:. A:. M:. Palazzo Vitelleschi - trasportandola sulla terra ferma e lavorando per coniugarla con i princìpi di una Italianità che fosse compatibile con le Leggi dello Stato e dell'Onore, così come anche fuori dai confini nazionali, in Europa.
Questo è il motivo per cui la Società Serenissima di Londra accoglie con particolare stima, affetto e gratitudine l'omaggio al grande Veneziano - sottolineando, in particolare, il proprio impegno nel diffondere i Valori Tradizionali della Venezianità nel Mondo e nell'essere portatori di Solidarietà nel Mondo, secondo la Cultura e la Tradizione del Trinomio Libertà, Uguaglianza, Fratellanza.
Tutto ciò può aiutarci a valutare con appropriatezza la presenza culturale di Carlo Goldoni nel Secolo dei Lumi: se la sua Opera in qualità di commediografo non fu esattamente una collezione di dottrine filosofiche, certo è che rappresentò un movimento di idee che rispecchiava in sé la grande esigenza rinnovatrice della borghesia settecentesca e dunque come tale merita di essere valutata, considerando inoltre che i Lumi della Ragionedi cui parlano gli Illuministi non sono qualcosa di ben determinato, non sono legati ad una specifica forma di razionalità, ma indicano un habitus mentale caratterizzato innanzitutto dal dovere, che ogni Illuminista sente vivissimo, di diffondere la Cultura e di fare della Ragione uno strumento di elevazione dell'Umanità.
Voltaire, pressoché coetaneo di Carlo Goldoni, condivise con lui in Terra di Francia le intense emozioni del Secolo dei Lumi, catturato dal grande dibattito su Etica, Libertà, Ragione: nulla di trascendentale né di immanente; infatti è proprio Voltaire che, dalle pagine del Candide, di fronte agli innumerevoli mali concreti dell'Umanità, bolla con il marchio del ridicolo l'ottimismo metafisico del secolo precedente, svuotandolo di significato: "Se questo è il migliore dei mondi possibili, cosa saranno mai gli altri?".
Da non trascurare, infine, l'analisi contestuale diacronica dei movimenti storico-politici che accompagnarono la vita di Carlo Goldoni: l'Esprit des Lois pubblicato a Ginevra nel 1748 da Charles-Louis de Montesquieu, uno dei più rappresentativi Autori dell'Illuminismo; la Dichiarazione dei Diritti votata a Filadelfia nel 1774; la Rivoluzione Americana conclusa con il Trattato di Versailles nel 1783; la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nel 1789, che costituì la base della democrazia borghese moderna.
Massoneria e Illuminismo a Venezia
Carlo Goldoni e Le donne curiose
a cura di Luigi Danesin
Atanòr Editrice, 2008
venerdì 25 settembre 2009
La Conferenza Massonica del Mediterraneo approda a Venezia
La prossima Conferenza Massonica del Mediterraneo, prevista per il novembre 2009, torna in Italia, a Venezia, dove si affronterà il problema di una operatività concreta che, conformemente allo spirito e alle finalità della Massoneria, possa contribuire al bene ed al progresso dei popoli del Mediterraneo meno fortunati e più bisognosi di solidarietà umana.
L'Unione Massonica del Mediterraneo nacque nell’anno 2000, quando l'allora Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia, Fr. Franco Franchi, ebbe l’idea di lanciare un messaggio alle Potenze massoniche dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, perché si incontrassero per confrontarsi sulle comuni radici e verificare se il loro percorso iniziatico fosse influenzato, e in quale misura, da una Tradizione tipicamente mediterranea.
L’appello fu accolto positivamente e pertanto il 12 febbraio 2000 la Gran Loggia d’Italia organizzò un primo incontro di studio a Reggio Calabria, centro ideale della Magna Grecia, proponendo come tema “Il Mediterraneo come centro di cultura e di tradizione iniziatica”. L’esito fu altamente positivo, vi parteciparono Delegati della Spagna, Grecia, Libano, Bulgaria, Romania e dal dibattito emerse la conferma che esiste un legame tra l’Istituto massonico e le più antiche Scuole iniziatiche. La comunanza di origini mediterranee trasfuse nella pratica massonica alimentò il desiderio di approfondire questa conoscenza rinnovando le occasioni d’incontro.
Alla fine dello stesso anno 2000, precisamente il 4 novembre 2000 la Gran Loggia d’Italia promosse una seconda Conferenza a Palermo suggerendo, questa volta, un confronto tra due diverse culture proponendo il tema “Tradizione iniziatica mediterranea verso Tradizione iniziatica nord-atlantica”. Emersero convergenze nel filone unico della Massoneria, ma anche specificità di ciascuna delle due Tradizioni, conservate nel tempo, specie nell’area mediterranea. Aspetto significativo di questa seconda edizione fu che alle Delegazioni estere si aggiunse il Grande Oriente di Francia, rappresentato dal suo Gran Maestro Aggiunto, Fr. Gerard Cambuzat.
Avviato ormai un ritmo di riunioni annuali, nel novembre 2001 venne organizzata sempre dalla Gran Loggia d’Italia a Napoli la III Conferenza ma questa volta, oltre ad approfondire ulteriormente la tematica della Tradizione iniziatica mediterranea, le Potenze massoniche convenute decisero di sottoscrivere un Protocollo d’intesa che segnò la nascita di un Organismo internazionale denominato “Catena di Unione Massonica Iniziatica Mediterranea”. Le Obbedienze firmatarie erano: Grande Oriente di Francia, Serenissimo Grande Oriente di Grecia, Ordine Massonico Internazionale Delphi, Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M., Gran Loggia Massonica Femminile d’Italia, Gran Loggia Centrale del Libano, Gran Loggia dei Cedri, Gran Loggia Simbolica Spagnola, Gran Loggia Liberale di Turchia.
La IV Conferenza venne organizzata a Beirut nel 2003 a cura della Gran Loggia dei Cedri, per discutere il tema “Il Mediterraneo punto d’incontro fra Oriente e Occidente”. A parte la fecondità degli spunti emersi dal dibattito e la condivisione d’intenti tra le Obbedienze Mediterranee, l’incontro servì a definire gli aspetti organizzativi del nuovo Organismo. Venne data la denominazione definitiva di “Unione Massonica del Mediterraneo”, fu scelto il logo, venne affidato il coordinamento permanente alla Gran Loggia d’Italia, fu deciso di organizzare un incontro annuale, vennero fissate le modalità di ammissione di nuove Obbedienze, la gratuità della partecipazione.
La V Conferenza fu ospitata nel 2004 a Tarragona, dalla Gran Loggia Simbolica Spagnola. I temi trattati dimostrarono che ormai l’Unione era una realtà vitale e che, dopo i primi incontri di studio e confronto, era ormai pronta ad affrontare tematiche più aderenti ai problemi della modernità.
Furono trattati infatti temi inerenti alla costruzione di una democrazia multiculturale, al recupero di un’etica della tolleranza, alla fondazione di una coscienza comune, alla creazione di uno spazio di laicità.
La VI Conferenza di Atene, patrocinata dall’Ordine Massonico Internazionale Delphi nel Febbraio 2006, ha confermato il crescente interesse per il nuovo organismo non solo da parte di Obbedienze di Paesi appartenenti all’area mediterranea, ma anche estranei ad essa. Il tema trattato, coerente con lo sviluppo operativo del percorso dell’Unione, era “Identificazione delle differenze culturali che impediscono la creazione di uno spazio comune nel Mediterraneo”. I risultati sono stati di grande interesse. Sul piano della crescita interna si è registrato un evento particolarmente significativo: l’ammissione di una Potenza massonica dell’altra sponda del Mediterraneo, la Gran Loggia del Marocco e del Grande Oriente Lusitano che, pur appartenendo ad un Paese che si affaccia sull’Atlantico, fa parte della Penisola Iberica e risente fortemente della influenza della civilizzazione mediterranea. Con questa ultima ammissione l’Unione ha dimostrato di avere una vocazione universale, non limitata ad un’area geografica, bensì a tutte le realtà territoriali che riconoscono nella Tradizione mediterranea, l’elemento formativo del proprio sviluppo.
La VII Conferenza si è svolta ad Antalya nel 2007 ed è stata organizzata dalla Gran Loggia Liberale di Turchia. Il tema prescelto “L’irraggiamento della Massoneria può essere realizzato a partire dal Mediterraneo?” Questa volta risultava chiaro ed esplicito che le Obbedienze aderenti alla Unione si interrogavano su un possibile rilancio della Massoneria fondato sulla riscoperta delle solide e prestigiose radici della Tradizione mediterranea. La risposta è stata positiva e, in una Dichiarazione finale firmata dalle dieci Potenze massoniche membri e da sette delegazioni presenti in veste di osservatori, si è affermata l’intenzione comune di utilizzare le risorse della cultura mediterranea per rispondere alle sfide della nostra società in evoluzione e ricercare il cammino della pace. E’ stata ammessa nell’Unione la Gran Loggia Unita del Libano.
L’VIII Conferenza, a cura del Grande Oriente di Francia, è stata ospitata a Marsiglia nell’aprile 2008 dove si è dibattuto il tema “L’impegno della Massoneria adogmatica nella modernità: ricerca verso la pace del Bacino del Mediterraneo”.
Giunta ad un punto di maturazione e di piena condivisione tra le Comunioni che ne fanno parte, l’Unione Massonica del Mediterraneo aspira adesso alla realizzazione di progetti che possano dare un senso compiuto ai propositi filantropici espressi in tutte le Conferenze dai Delegati delle Obbedienze che ne fanno parte o che hanno preso parte ai Lavori come osservatori.
(Gli Atti delle prime sette Conferenze sono stati pubblicati a cura delle Obbedienze ospitanti)
Il progetto mediterraneo lanciato dalla Gran Loggia d’Italia, non in concorrenza o in alternativa con altri organismi massonici internazionali, si propone di dare forza e autonomia ad una Massoneria libera dai rigidi canoni imposti dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra e pronta ad interpretare i segni dei tempi nuovi.
Una visione della Massoneria aperta e moderna, che abbraccia non solo la vecchia Europa, ma anche Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, è quella che può meglio favorire il dialogo e garantire un futuro di tolleranza, rispetto e condivisione a chi oggi soffre guerre, fanatismi e privazioni di ogni genere.
domenica 3 maggio 2009
Venezia Esoterica
Quando si parla di Venezia vengono subito in mente le immagini delle bellissime gondole che vagano per i canali e la dolce atmosfera romantica che la avvolge, ma tra i campi e i calli gremiti di turisti si nascondono antiche leggende, misteri insoluti, ombre di antichi personaggi che rendono la città fortemente inquietante in questa sua gotica disinvoltura. Sarà seguendo così le tracce di questi enigmi che si perdono nella notte dei tempi che riusciremo ad entrare in contatto con il genius urbis che come novello Virgilio ci porterà tra le pieghe del tempo al cospetto di tradizioni mai dimenticate come il Graal e Cagliostro, Casanova e l’Inquisizione che ci faranno cambiare idea sul comune soprannome di “Serenissima”.
IL GRAAL E I MISTERI DI SAN MARCO
La città di Venezia è ricca di leggende su antiche reliquie cristiane dato anche gli stretti rapporti economici con il mondo orientale e così ovviamente non potevano mancare storie sui Templari e il mistico Graal, la coppa nella quale, secondo la leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo.
La via che porta questa favolosa reliquia in città è quella che conduce a Costantinopoli, l’odierna Istambul, città conquistata dai Crociati e strettamente legata al capoluogo veneto. In particolare proprio durante la Quarta Crociata cavalieri e mercanti portarono in città cultura e tradizioni mediorientali oltre ai moltissimi tesori provenienti dalla città turca come i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle, dunque non sarebbe impensabile che, nel caso fosse davvero esistito, il Graal nel suo mistico cammino fosse davvero giunto nella città.
La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello. Si narra che questa poi sarebbe stata trasferita successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola le cui due città si spartiscono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere. I misteri legati alla religione Cristiana non trattano solo di reliquie, ma diverse sono anche le tradizioni legate a l’Inquisizione e piazza San Marco, tracce di angusti ricordi sparsi in una delle più belle piazze d’Italia e spesso celati agli occhi del comune viaggiatore. All’angolo destro della Basilica, ad esempio, è presente un cippo che la tradizione vuole utilizzato per le esecuzioni, mentre guardando le colonne del primo loggiato del vicino Palazzo Ducale, ne possiamo scorgere due di colore differente dalle altre ove, secondo la tradizione, venivano lette le sentenze di morte poi eseguite nella piazzetta antistante o nel vicino Campanile.
Ecco così che il meraviglioso Campanile che svetta nella piazza nasconde anch’esso macabri ricordi, infatti è legato alla tradizione del supplizio di cheba, una gabbia in ferro sospesa nel vuoto nella quale i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio anche per lunghi periodi sfidando le intemperie e dunque la morte che presto sopraggiungeva quasi come liberazione.
Sempre tra le colonne del Palazzo Ducale, poi, era offerta l’ultima speranza di salvezza, e infatti, sul lato della costruzione che si offre al mare era presente una colonna che ancora oggi appare con il basamento consumato. Ai condannati era offerta una ultima grazia: se fossero riusciti a girar intorno alla stessa senza cadere mai dallo strettissimo basamento sulla quale poggia, operazione davvero impossibile.
I PALAZZI STREGATI E LE CORRENTI TELLURICHE
Interessanti poi sono le tradizioni legate ai palazzi stregati come Ca’ Dario e Ca’ Mocenigo Vecchia.
La fama del primo sinistramente conosciuta da tutta la città, esso fu costruito dal mercante Giovanni Dario e dedicato al genio della città come testimonia l’iscrizione “Genio urbis Joannes Dario”, scritta che, secondo alcuni studiosi, nasconderebbe, anagrammata, enigmatici quanto orribili segreti: “SUB RUINA INSIDIOSA GENERO” e cioè colui che abiterà sotto questa casa andrà in rovina. Per alcuni la costruzione sorgerebbe su un nodo di energie negative che si trasferirebbero all’intera dimora, quella che Fulcanelli definirebbe una vera e propria dimora filosofale. In realtà l’intera città sorgerebbe su una rete di correnti telluriche, positive e negative, che caratterizzerebbero così la sua urbanizzazione, lo stesso Canal Grande sarebbe la rappresentazione del temibile serpente, simbolo delle enigmatiche forze che in alcuni punti diventerebbero fortemente palesi. Del resto nel passato era normale che ci fossero luoghi benefici e malefici, in oriente ove si pratica il feng shui, cioè una disciplina che permette di costruire una casa recependo le onde benefiche del “grande drago” che dorme nel sottosuolo. Sarà proprio il drago a caratterizzare la città, infatti esaminiamo una qualunque cartina di Venezia vediamo il Canal Grande snodarsi come un serpente o un dragone, tagliando esattamente in due parti la città. Abbiamo così la testa, “caput draconis”, ed una coda “cauda draconis”.
Alla fine di quest’ultima troviamo l’isola di san Giorgio, con l’omonima chiesa, scelta non casuale se pensiamo che nella tradizione cristiana san Giorgio è il santo che uccide il drago, e quindi che esorcizza il serpente veneziano, mentre dalla parte opposta vi è la Basilica di San Marco, quasi un modo per esorcizzare queste energie.
E’ proprio posizionato nella “cauda” che troviamo Ca’ Dario, il misterioso palazzo la cui maledizione colpisce tutti i proprietari che sono morti suicidi o comunque di morte violenta, tra i quali ultimamente Raul Gardini e il tenore Mario del Monaco.
Per quanto riguarda invece la seconda costruzione, è silente testimone della visita del filosofo Giordano Bruno in città, ospite proprio della famiglia di Mongenigo che, dopo aver cercato di carpire le sue conoscenze alchemiche, lo denunciarono come stregone alle autorità veneziane costringendolo a riparare a Roma ove poi sarà giustiziato. Tradizione vuole che ancora in quell’edificio si manifesti il fantasma dell’eretico in cerca di giustizia.
ALCHIMIA VENEZIANA
Moltissimi sono stati i maghi, stregoni e alchimisti presenti nella laguna, tra i quali spiccano, oltre al già citato Giordano Bruno, Casanova e Cagliostro. Dati gli stretti rapporti con il Medioriente, Venezia è stata da sempre crogiuolo di culture, il toponimo del quartiere “Giudecca” sembrerebbe proprio segnalarci la presenza dei suoi primi abitanti, i giudei, da sempre maestri di alchimia e studiosi di Cabala. Moltissime sono così le leggende presenti nell’antico e nuovo ghetto che riguardano gli rabbini e i loro studi di alchimia.
Nella città, poi, sono presenti le conoscenze alchemiche degli arabi le cui tracce ritroviamo nel quadrante della torre dell’orologio ove, tra simboli astronomici e astrologici sono presenti raffigurazioni di mori. Più sconcertanti ed evidenti sono però le simbologie arabe presenti nelle vicinanze della porta della carta vicino la Basilica di San Marco. Qui sono rappresentati in un angolo i così detti “quattro mori”, i tetrarchi Diocleziano, Galerio, Massimiliano e Costanzo.
In realtà la tradizione lega queste figure all’alchimia come testimoniato da un fregio alla base dello stesso raffigurante due putti e due draghi intrecciati che portano un cartiglio con la scritta in veneziano arcaico “uomo faccia e dica pure ciò che gli passa per la testa e veda ciò che po’ capitargli”.
Sempre sullo stesso lato della Basilica sono presenti due colonne provenienti da Acri ove cultura cristiana e mora si mescolano in una mistica commistione di immagini tra le quali spiccano tre enigmatici criptogrammi per alcuni invocazioni al dio del mussulmani Allah.
Tra i personaggi più enigmatici, però, sicuramente spicca Casanova, mago e scrittore nato nella città il 2 Aprile 1725 e sepolto nella chiesa di San Barnaba anche se della sua tomba sono state perse le tracce. La sua storia “misteriosa” parte all’età di otto anni quando, per guarirlo da un male che gli costringeva a tenere sempre la bocca aperta, la zia lo portò da una strega guaritrice. Sarà da allora che lo scrittore iniziò ad interessarsi alle arti magiche che gli procurarono problemi con l’Inquisizione e che lo portarono ad esser imprigionato nei famosi “piombi” veneziani dai quale riuscì in una clamorosa fuga. Sicuramente egli ebbe contatti con la massoneria e con Amadeus Mozart per la realizzazione del suo “Don Giovanni” ispirato anche alla vita del veneziano e con il famoso Giuseppe Balsamo, noto come Conte di Cagliostro proveniente da Aix de Provence. Secondo la tradizione i due si incontrarono nella città nel 1769 per scambiarsi formule e magici rituali e le formule per l’elisir di eterna giovinezza.
[di Andrea Romanazzi - tratto da Unknown.it]
mercoledì 18 giugno 2008
La loggia veneziana «Fedeltà» e la sua eredità
Le principali notizie sul Rettificato italiano nel Settecento le dobbiamo a Pericle Maruzzi 1, Eques a Tribus Baculis, che raccolse preziosi documenti, come il Codice massonico delle Logge riunite e rettificate di Francia, e manoscritti vergati dalla mano di Willermoz. Nel capitoletto sulle logge rettificate del Veneto (pp. 103–107), Maruzzi informa che Eques a Ceraso, ossia il barone von Waechter, insediò la Prefettura di «Verona» il 17 gennaio del 1778 2.
Nel pie’ di lista del 1778 della Loggia padovana Amore del prossimo risultano iscritti quattro veneziani: il marchese Michele Sessa, l’avvocato Antonio Gini, il maggiore Domenico Gasperoni, tutti maestri, e l’apprendista Matteo Dandolo.
La prefettura di «Verona», composta inizialmente dalle Logge Amore del prossimo e I veri amici, diede patente alla Beneficenza di Corfù e alla Fedeltà di Venezia nel 1780 3, anno in cui la Prefettura di «Verona» aderì al Regime Rettificato (MSO, p. 161).
È probabile che la Fedeltà di Venezia sia stata costituita da Michele Sessa, componente della Prefettura di «Verona» col titolo di Eques Michael a Leone e maestro dei Novizi 4. Cinque anni dopo la fondazione, nel 1785, la Fedeltà e le altre logge rettificate furono chiuse: Maruzzi ne dà notizia in maniera lapidaria. La storia del Rettificato nell'Italia del Settecento, e soprattutto in Veneto, si arresta qui.
La storia ha tuttavia un seguito d’estremo interesse, sebbene ancora sepolto. Nel terzo numero dell’Hiram del 1988 Rossi Osmida dà notizia d’un documento, da lui personalmente acquistato presso la libreria antiquaria «Concarieva Zalosba» di Lubiana, proveniente da un ufficiale della polizia austriaca in forza a Venezia nel 1860.
Si tratta d’una minuta cancelleresca del 7 maggio 1785 per un inventario d’oggetti rinvenuti durante una chiusura forzata d’una Loggia veneziana, e la lista dei presenti: «il documento, redatto nella tipica grafia cancelleresca di fine Settecento, consta di due facciate: la prima è dedicata all’inventario degli oggetti reperiti, requisiti e “abbruciati”; la seconda riporta una lista di 36 affiliati che evidenzia la presenza di 10 patrizi veneti accanto a 26 borghesi» 5. La vicenda si conclude con un rogo delle suppellettili e la chiusura definitiva della Loggia.
Rossi Osmida, dopo aver tratteggiato l’interessante profilo d’alcuni degli affiliati patrizi, giunge a conclusioni probabilmente affrettate: «per quanto attiene la lista degli oggetti, è già possibile intravedere un legame di questa loggia sia con il lavoro alchemico (la nave, la canfora, la corona) sia, e soprattutto, con un Rito Egizio» (ibidem).
Sicuramente Rossi Osmida, che aveva da poco aperto una camera del Rito di Memphis e Misraim a Venezia, è giunto alla sua conclusione sedotto da «una piramide a tre lati con fiammole dipinte, e varj geroglifici» descritta nell’inventario del 1785.
Tuttavia la piramide è l’unico oggetto «egizio» tra i tanti sequestrati, mentre tutti gli altri oggetti menzionati nell’inventario suonano familiari a chi abbia un po' di dimestichezza col regime Rettificato.
Anzitutto conviene menzionare i «quadretti». Sul primo, cui spetta l’apertura, era trascritto il motto «Adhuc stat», divisa che distingue il primo grado del regime. L’inventario aggiunge che vi era raffigurato un «pezzo di colonna». Nell’inventario redatto nel maggio del 1785 si ricorda anche un altro quadretto raffigurante una squadra e il motto «dirigit obliqua», divisa del secondo grado rettificato. Oltre questi quadretti è menzionato uno specchio su cui era scritto «se avete un vero desiderio, se avete coraggio ed intelligenza, tirate questa cortina, e apprenderete a conoscervi» (a sinistra un disegno attribuito a una loggia del «Rio Marin», ma da riferire alla veneziana Fedeltà, in cui entro il riquadro d'uno specchio è scritta la frase riportata anche nell'inventario).
Un terzo quadretto che faceva mostra di sé nella loggia veneziana raffigurava un nave in burrasca, accompagnata dal motto «in silenzio & spe fortitudo mea», divisa del grado di maestro nel regime rettificato. La piramide triangolare –e non quadrata– che in Rossi Osmida ha evocato suggestioni di riti egizî, forse andava accompagnata dalla «tabella di latta col motto “depone aliena”», altro simbolo del terzo grado. Su questa piramide triangolare era inciso «tria formant». (a sinistra un disegno attribuito a una Loggia del «Rio Marin», ma molto probabilmente sequestrato alla loggia fedeltà, con i motti «tenebre eam non comprehenderunt» e «depone aliena»).
Basta soffermarsi su questi oggetti per rendersi conto che l’inventario del 1785 elenca con precisione tutti gli arredi necessari a una Loggia che lavori al rito rettificato. Rossi Osmida s’è concentrato sui personaggi più noti, come Alvise Mocenigo, o Alvise Querini, o il fratello di Pindemonte.
Ma la riprova definitiva che la loggia sorpresa dalle guardie era la Loggia veneziana Fedeltà all’obbedienza della Prefettura di «Verona» ce la dà il nome del «Venerabile», Michele Sessa, noto come Eques Michael a Leone (cioè «Michele veneziano») e maestro dei novizi, compito che seppe assolvere egregiamente se la Fedeltà, nel momento in cui fu sorpresa intenta nei suoi lavori, contava su trentasei Fratelli presenti.
E il secondo menzionato nell’inventario del 1785 è il maggiore Domenico Gasperoni, il secondo dei Veneziani nel pie’ di lista della padovana Amore del prossimo, immediatamente dopo Michele Sessa. Non è arduo trarre le conclusioni. I Veneziani Sessa e Gasperoni, tra i fondatori della Prefettura di «Verona» nel 1778, nel 1780 fondano la Fedeltà (vedi nota 3) all’Oriente di Venezia, e la sviluppano sin quando non incorrono nella repressione del maggio 1785.
L’inventario non farebbe che confermare definitivamente quanto scriveva Maruzzi: la chiusura d’almeno una delle logge rettificate, e a seguito d’una vicenda incresciosa. Ma è proprio a causa di questa improvvisa «morte» che possiamo farci un'idea dei principi del rettificato e dell'episodio che vide coinvolta la loggia: nello stesso anno in cui alla Fedeltà era proibita ogni riunione, il 1785, il tipografo Leonardo Bassaglia pubblicava un libretto anonimo di 95 pagine e corredato da incisioni, intitolato
Istituzione riti cerimonie
dell’Ordine de’ Francs-Maçons
ossian Liberi Muratori
Colla descrizione e disegno
in rame della loro Loggia
E insieme un preciso dettaglio
delle funeste loro peripezie
Già il colophon, alludendo alle «funeste peripezie», si presenta come un «istant book», un libro concepito proprio a causa della chiusura della fedeltà e del rogo dei suoi arredi e paramenti.
L’allusione si precisa in apertura del primo capitolo:
«Qualunque avvenimento strepitoso ha diritto ad eccitar nel pubblico tanto la curiosità d’intenderne le particolari sue circostanze, quanto a farne parlar tutti liberamente come loro più piace. Basta perciò ch’ei si sappia una peripezia di fresco accaduta a una Loggia di Francs-Maçons, che si era non ho molto stabilita in queste nostre adriatiche regioni, perché apparisca giustificato il divisamento di compilarne sul momento tutte quelle notizie, che servir possano a soddisfar il genio de’ curiosi... »
(il corsivo è mio, n.d.a.)
Il lettore è avvertito che sia pure senza menzionarla si parla della Fedeltà, nata nel 1780 e chiusa a causa di un episodio eclatante cinque anni dopo, e del rogo che ebbe sicuramente ampia eco sulla laguna. Ulteriore conferma viene dal placet delle autorità preposte alla licenza di stampa, dato il 25 e il 27 maggio. Dunque l’opuscolo è stato approntato in meno d’un mese dalla «funesta peripezia».
Il testo è redatto con abilità, molto probabilmente da un componente della Loggia Fedeltà o comunque da un Fratello che dietro l’apparenza di voler denunciare le presunte malefatte della massoneria, in realtà ne difende i principî e li divulga con ardore.
D’altronde il parere della commissione dei «Riformatori dello studio di Padova», da cui dipendeva il placet per le stampe, è firmato tra l’altro da Francesco Morosini e Girolamo Ascanio Giustinian (Ist., p. 95), e nell’Offina Fedeltà erano presenti al momento dell’irruzione e del sequestro Alvise Morosini e... Girolamo Giustinian (Cfr. inventario).
Qualora non si tratti d’una omonimia, e Girolamo Giustinian sia la stessa persona, non solo diviene comprensibile il placet, ma dovremo ipotizzare ragionevolmente che l’autore dell’omonimo opuscolo possa essere proprio lui. Certamente un aspetto da approfondire.
Chiunque ne sia stato l’autore, l’opuscolo apre la sua apparente invettiva contro la massoneria con un elogio dei suoi principî. In primo luogo la tolleranza:
L’Ordine de’ Francs-Maçons... unisce insieme e colle medesime viste una quantità grande di persone, senza che la diversità del carattere, della inclinazione, o della Religione vi rechi alcun ostacolo.
(Il corsivo è mio, n.d.a.)
Il riferimento al primo punto delle Costituzioni andersoniane è abbastanza palese: «.. la muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti». Ma l’elogio cede il passo all’aperta apologia:
Non havvi secondo i parziali di questa società, fra tutte le compagnie del mondo, unione di questa più dolce, più saggia, più vantaggiosa, e nello stesso tempo più speciosa e singolare. Uniti insieme col dolce nome di fratelli...
(Ist., p. 4. Il corsivo è mio, n.d.a.)
E le accuse? Come sempre la più antica è rivolta contro la segretezza dell’Ordine, e le cospirazioni che servirebbe a celare. Il nostro autore la respinge con forza:
Il gran segreto che osservano scrupolosamente in ciò che fanno nelle loro adunanze... non mancarono per verità di far concepir de’ sospetti svantaggiosissimi per tali assemblee, quasichè fosse a temere che... sotto un sigillo inviolabile di segretezza, potesse per avventura ostare alla costituzione, e intorbidare la tranquillità dello Stato. Ma... poiché i Socj vantano di portar impresso nel cuore l’amore del loro ordine e della pace sostenendo che nella loro Scuola... si può imparare qual rispetto, qual sottomissione, e qual venerazione debbasi avere per la Religione, pel Principe, e pel Governo.
(Ist., ibidem)
Dunque
sarebbe ridicola cosa il supporre che nelle loro Loggie potessero aver luogo affari concernenti o la Religione o il Principato ... (Ist., ibidem)
E con ciò il nostro appassionato apologeta rintuzza le accuse, certamente risuonate per le calli della Serenissima, e al contempo afferma con vigore il secondo punto delle Costituzioni andersoniane, e lo fa proprio: « un muratore è un pacifico suddito dei poteri Civili... per cui essi (i liberi muratori, n.d.a.) praticamente risposero ai cavilli dei loro avversari e promossero l’onore della loro fraternità, che sempre fiorì in tempi di pace».
Obiettivo della massoneria è altrettanto chiaro: riedificazione del Tempio di Salomone, che non va intesa alla lettera, ma come «opera allegorica che raffigura una riforma del cuore» (Ist., p. 5). A evitare interpetazioni letterali, correnti nel mondo massonico ancor oggi, il nostro autore ribadisce la causa della «riforma»: «la distruzione del Tempio non rappresenta che la caduta dell’uomo dal primo stato felice». Questa sottolineatura dell’allegoria del «tempio dell’uomo» rievoca la memoria di de Maistre al duca di Brunswick (1782), che a proposito del terzo grado caldeggia la lettura allegorica, e soprattutto la sua concezione della massoneria come «Science de l’homme par excellence» 6.
Ma il tema è tipico del rito Rettificato, e lo ricordava Faivre: «Car le Rite Écossais Rectifié réactualize le Temple... Il s’agit pour le maçon de reconstruire le Temple primitif, d’avant la chute, pour y faire entrer de nouveaux Dieu et pour que les hommes eux–mêmes piussent y retourner comme des anfants prodigues, entraînant la nature entière dans cette assomption» 7.
Prosegue infatti lungo l’assioma allegorico del Rettificato il nostro autore delle Istituzioni:
Il Tempio di Salomone, la sua fabbrica e magnificenza, la sua caduta e le sue rovine, il suo ristabilimento e splendore, non figuravano in questa ultima spiegazione se non se il Cuore umano formato da Dio medesimo, ricolmo dei più ricchi doni, e determinato per sua natura al bene, ma poi del tutto corrotto dalla violenza delle passioni. Si voleva, che quello Cuore deplorabile, serbando ancora nel suo avvilimento tratti della passata grandezza, dimandasse che la se rendesse tutta perfetta, qual l’aveva una volta... In questo aspetto non più avevano i Liberi Muratori da apparir occupati in edifizj puramente mondani e terreni... Saranno i Liberi Muratori quel popolo fortunato... di sciogliere l’umano cuore dalle catene di schiavitù sì vergognosa... e di richiamare nel mondo la prima bella innocenza.
(Ist., p. 10)
Dunque il nostro autore prima compara la rovina del tempio alla caduta dell’uomo: «la distruzione del Tempio non rappresenta che la caduta dell’uomo dal primo stato felice»; e infine la ricostruzione del tempio alla restaurazione della «prima bella innocenza» del cuore, seguendo fedelmente persino i termini della Regola di Wilhelmsbad.
Nella Regola massonica approvata a Wilhelmsbad nel 1782 la caduta si condensa nel secondo articolo in accorate esclamazioni: «Homme! Roi du monde!... Etre degradé! malgré ta grandeur primitive...» , e infine, nel nono e ultimo articolo, nella prospettiva delle reintegrazione: «ô mon frère! ... tu recouvreras cette ressemblance divine, qui fut le partage de l’homme dans son état d’innocence» 8.
Il grado di Scozzese di Sant’Andrea ammonisce: «Vous voyez ici les ruines de ce temple célèbre que Salomon fit élever à Jérusalem... Le Temple fut détruit...» 9.
Il nostro autore, tratteggiati con calore principî e fini dell’Ordine, ovvero del Regime Rettificato, si sofferma su due mezzi, con discreto anticipo sulle parole d’ordine della rivoluzione francese, cioè libertà e uguaglianza:
Quanto alla Libertà e alla Uguaglianza, che sono le prerogative preziose che si attribuisce la Società... producono l’effetto maraviglioso di adunar in una medesima Setta i partigiani di qualsisia altra Società, diventando un legame mirabile e universale che riunisce tutti senza pregiudizio di alcuno... La prima fa sparire ogni idea importuna e mortificante di superiorità... La seconda poi produce quella pace deliziosa, quella confidenza così dolce... incompatibile coll’avarizia... Cotesta indipendenza ... altro non è che il ristabilimento di quell’età chiamata dai Poeti Età dell’Oro... Quest’era quel tempo felice, nel quale il cuore libero da ogni passione ne ignorava fino i più semplici movimenti... e in cui gli uomini uguali e sudditi delle sole leggi della Natura non ammettevano altre distinzioni che quelle, cui questa saggia madre aveva posto tra essi, come quella di un padre verso un figliuolo...
(Ist., p. 13)
Anche in questo caso, sebbene l’autore attribuisca a «Cromwello» lo stabilimento della massoneria e dei suoi principî, il modello è la regola di Wilhelmsbad: «fidèle au voeu de la nature, qui fut l’égalité, le Maçon rétablit dans ses temples le droit originaires de la famille humaine» (VIII, I).
A sigillo del Regime Rettificato il nostro autore ha voluto, a fianco del frontespizio, un’ incisione (a sinistra) che sintetizza le ‘anime’ dei gradi: Adhuc stat, Dirigit obliqua, In silentio, et spe fortitudo nostra. E i cinque animali, che vengono mostrati solo a coloro che hanno un «gusto distinto pel sistema dell’Ordine», cioè gli «Architetti o Scozzesi» (Ist., p. 81).
Dunque Istituzioni riti e cerimonie..., l’opuscolo stampato nel 1785, è scaturito dalla «funesta peripezia» occorsa alla Loggia veneziana Fedeltà, aderente alla Prefettura rettificata di «Verona», ed è stato scritto con il preciso obiettivo di consegnare la sua eredità ai posteri: consegnare i principî e i fondamenti del regime Scozzese Rettificato agli uomini di «cuore».
Grazie all’inventario e alle Istituzioni noi dunque disponiamo di preziosi elementi per studiare e approfondire il ruolo dell’Italia nella riforma Rettificata, e proseguire il lavoro di Pericle Maruzzi.
Ma anzitutto abbiamo l’oneroso e al contempo grato compito di vivificare l’eredità che la Fedeltà ci ha consegnato. Essa, con le sue vicissitudini analoghe al Tempio di Salomone, la sua edificazione, il suo splendore, la sua rovina, la sua testimonianza e la sua eredità, costituisce il cuore della nostra colonna infranta: l’allegoria che deve nutrire la riedificazione del tempio dell'uomo.
Perit ut Vivat
1. Maruzzi consultò gli Archives de Bourgogne della loggia zurighese Modestia cum Libertate, e pubblicò Notizie e documenti sui liberi muratori in Torino nel sec. XVIII, ripubblicato nel 1990 col titolo La Stretta Osservanza e il Regime Scozzese Rettificato in Italia nel secolo XVIII (d’ora in poi «MSO»).
2. Il capitolo di Verona era costituito da dodici Fratelli. Cfr. Matricula Specialis Magni Priorat: Italiae. Capitul: des Prioratus von Italien, e Dritte Balley, die Lombardische genannt, in «Archives de Bourgogne», AdB, presso la Modestia cum Libertate di Zurigo (MSO, pp. 302–04).
3. Cfr. MSO, p. 162, da Allgemeines Handbuch der Freimaurerei, Leipzig, 1863–79, I3 385 a.
4. Cfr. Tableaux du + Prefectural de Verone senat à Paoue, in AdB (MSO, p. 162 e p. 316)
5. Gabriele Rossi–Osmida, Venezia maggio 1785, in «Hiram», n. 3, marzo 1988. p. 82.
6. Joseph de Maistre, La Franc–Maçonnerie. Mémoire au Duc de Brunswick, L’Harmattan 1993, p. 69.
7. Antoine Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental, cit. in Jean Ursin, Création et histoire du Rite Ecossais Rectifié, Dervy 1994, p. 177.
8. Regle Maçonnique à l’usage des Loges réunies et rectifiées approuvée au Convent Général del Wilhelmsbad en 5782, art. II, in Jean Tourniac, Principes et problèmes spirituels du Rite Écossais Rectifié et de sa chevalerie templière, Dervy 1969, p. 274 sgg..
9. Hugues d’Aumont, Templiers & Chevalerie spirituelle des hauts grades maçonniques, Trédaniel 1996, p. 66.
[Maurizio Nicosia, da http://www.zen-it.com]
sabato 7 giugno 2008
Templari e Cavalieri di San Giovanni
L'attuale sede del Sovrano Militare Ordine di Malta in Venezia proviene da un palazzo che era dei Templari, e in seguito alla confisca dei loro beni fu assegnato alla "Religione degli Ospedalieri di San Giovanni".
Troviamo la prima notizia dell'insediamento dei Templari a Venezia in un atto di donazione fatta il 9 novembre 1187 da Gerardo, Arcivescovo di Ravenna, di alcuni terreni siti in Venezia in località Fossaputrida, affinché vi costruissero uno spedale e una chiesa; si ha motivo di ritenere che la casa e la chiesa di San Giovanni del Tempio trasferite dopo la soppressione dei Templari ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, fossero quelle dove ha ora sede il Gran Priorato di Lombardia e Venezia. La Fossaputrida sarebbe il territorio di San Giovanni in Bragora, attuale parrocchia in Venezia.
Nel 1313 il Cavaliere frà Nicola da Parma, priore di Venezia dell'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, accompagnato dal Cavaliere fra' Bonaccorso Trevisan, si presentava al doge Soranzo per chiedere che i beni già appartenuti ai Templari fossero riconosciuti proprietà dei Giovanniti. La domanda fu accolta ed essi acquisirono, come si è detto, i conventi e le chiese di San Giovanni del Tempio (dette anche dei Furlani perché in quei pressi abitavano numerosi cittadini provenienti dal Friuli) e di Santa Maria in Broglio (o Brolo).
Ma già prima che pervenissero all'Ordine i beni dei Templari si ha notizia dell'esistenza a Venezia di un Priorato. Infatti, come risulta da un atto del 19 settembre 1263, in quel periodo era Priore fra' Engheramo da Gragnana, al quale successe fra' Guglielmo Bolgaroni.
La più antica raffigurazione del Priorato, ci è data dalla famosa pianta di Venezia delineata da Jacopo de' Barbari nell'anno 1500. Nella xilografia di questo artista, diligente e fedele nel riprodurre la realtà, si vedono disegnati la chiesa e il convento di San Giovanni del Tempio, poi di Malta, nell'aspetto planimetrico e volumetrico che conservano tutt'ora. Infatti, molteplici restauri succedutisi in varie epoche hanno certamente mutato l'aspetto degli edifici, ma non la loro struttura fondamentale.
Perduta Malta nel 1798, ebbe inizio per l'Ordine un periodo molto triste della sua storia. Il Gran Priorato di Venezia, in esecuzione al decreto di Napoleone in data 30 aprile 1806, venne soppresso e i suoi beni divennero proprietà demaniale. Il Commendatore fra' Fulvio Alfonso Rangone, che era in quel tempo Ricevitore e Luogotenente del Gran Priore fra' Giovanni Battista Altieri, dovette consegnare gli edifici al demanio.
Il Luogotenente di Gran Maestro dell'Ordine fra' Carlo Candida, eletto nel 1834, si adoperò energicamente presso la Santa Sede e altri governi ed ottenne la restituzione di molti beni. Nel 1839 furono ricostituiti gli antichi Gran Priorati di Lombardia e di Venezia in un unico Gran Priorato di Lombardia e Venezia, con giurisdizione anche nei territori di Parma, Modena e Lucca, con sede in Venezia, e Ferdinando I Imperatore d'Austria, con patente in data 5 gennaio 1841, restituì ai Cavalieri Gerosolimitani la chiesa di San Giovanni del Tempio, il palazzo priorale e il terreno adibito ad orto.
La restaurata sede del Gran Priorato di Lombardia e Venezia fu inaugurata solennemente il 24 giugno 1843, con l'intervento del Gran Priore fra' Giovanni Antonio Cappellari della Colomba (nipote di Papa Gregorio XVI), del Bali' fra' Federico Arciduca d'Austria. Quest'ultimo doveva poi morire a Venezia nel 1847, e trovar sepoltura nel 1854 nella chiesa priorale in una tomba progettata dallo Zandomeneghi, con iscrizione di Emanuele Cicogna. Numerosi sono gli stemmi dei Gran Priori e di Cavalieri dipinti lungo tutto il chiostro del Gran Priorato.
Sono ora cominciati dei radicali lavori di restauro, atti a risanare il palazzo del Gran Priorato e la Chiesa, che avevano subìto danni notevoli a causa delle alluvioni e delle frequenti alte maree che in questi ultimi anni hanno colpito Venezia.
[dal sito ufficiale dello smom]
venerdì 6 giugno 2008
Il Graal e i misteri di San Marco
La città di Venezia è ricca di leggende su antiche reliquie cristiane dato anche gli stretti rapporti economici con il mondo orientale e così ovviamente non potevano mancare storie sui Templari e il mistico Graal, la coppa nella quale, secondo la leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo.
La via che porta questa favolosa reliquia in città è quella che conduce a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, città conquistata dai Crociati e strettamente legata al capoluogo veneto. In particolare proprio durante la Quarta Crociata cavalieri e mercanti portarono in città cultura e tradizioni mediorientali oltre ai moltissimi tesori provenienti dalla città turca come i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle, dunque non sarebbe impensabile che, nel caso fosse davvero esistito, il Graal nel suo mistico cammino fosse davvero giunto nella città.
La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello. Si narra che questa poi sarebbe stata trasferita successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola le cui due città si spartiscono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere.
I misteri legati alla religione Cristiana non trattano solo di reliquie, ma diverse sono anche le tradizioni legate a l’Inquisizione e piazza San Marco, tracce di angusti ricordi sparsi in una delle più belle piazze d’Italia e spesso celati agli occhi del comune viaggiatore. All’angolo destro della Basilica, ad esempio, è presente un cippo che la tradizione vuole utilizzato per le esecuzioni, mentre guardando le colonne del primo loggiato del vicino Palazzo Ducale, ne possiamo scorgere due di colore differente dalle altre ove, secondo la tradizione, venivano lette le sentenze di morte poi eseguite nella piazzetta antistante o nel vicino Campanile. Ecco così che il meraviglioso Campanile che svetta nella piazza nasconde anch’esso macabri ricordi, infatti è legato alla tradizione del supplizio di cheba, una gabbia in ferro sospesa nel vuoto nella quale i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio anche per lunghi periodi sfidando le intemperie e dunque la morte che presto sopraggiungeva quasi come liberazione. Sempre tra le colonne del Palazzo Ducale, poi, era offerta l’ultima speranza di salvezza, e infatti, sul lato della costruzione che si offre al mare era presente una colonna che ancora oggi appare con il basamento consumato. Ai condannati era offerta una ultima grazia: se fossero riusciti a girar intorno alla stessa senza cadere mai dallo strettissimo basamento sulla quale poggia, operazione davvero impossibile.
[Andrea Romanazzi, da acam.it]