giovedì 5 giugno 2008

Movimento Rosacruciano e Massoneria



I legami del mondo esoterico misteriosofico favorevole alla Riforma sono proiettati in campo politico su due fronti: quello britannico e quello Palatino. Elisabetta, figlia di Giacomo I d'Inghilterra, sposa Federico V, elettore Palatino dell'Impero Asburgico, nel 1613. Il matrimonio è celebrato con una complessa e segreta simbologia nelle Nozze Alchemiche di Christian Rosenkreutz, attribuito a J. V. Andreae. Il Christian Rosenkreutz tedesco come speculare al Cavaliere della Rosa Rossa del The Fairie Queen di Edmund Spenser. Il primo, esattamente come lo sposo Palatino, veste le insegne del Toson D'Oro germanico e quelle dell'Ordine della Giarrettiera britannico. Speranze antiasburgiche e antipapali riposte dai circoli esoterici, kabbalistici e misterici nell'aiuto della Gran Bretagna alla causa Palatina. Subito prima del matrimonio J. V. Andreae ha pubblicato la Fama Fraternitas e subito dopo sono apparsi dei manifesti Rosacrociani che riprendono idee ed inviti ai fratelli rosacrociani invisibili della Fama.

Traiano Boccalini da Venezia, nei Ragguagli dal Parnaso (1612-13), esprime le medesime convinzioni. Un capitolo di quel libro ("Sulla riforma generale dell'Universo") è inserito nelle prime edizioni della Fama Fraternitas di J. V. Andreae. 

Esiste una connessione tra circoli britannici, veneziani e praghesi all'insegna della saldatura tra alchimia, filosofia, kabbalah ed ermetismo: John Dee, Robert Fludd, Guglielmo Postel, Triaiano Boccalini e Michael Maier. Prodromi dell'Illuminismo Filosofico settecentesco nelle opinioni dei Rosacroce.
Michael Maier affera esistere nel 1622 a l'Aja una società di alchimisti che si facevano chiamare Rosa-Croce. Friedrich Nicoali (1783) riprende la notizia dicendo che tale società aveva ramificazioni internazionali ad Amsterdam, Norimberga, Amburgo, Danzica, Erfurt, Mantova e Venezia: i membri vestivano cordone bleu con croce d'oro sormontata da una rosa. Statuti e organizzazione sarebbero in libri, redatti da massoni, non facilmente reperibili.

E' da sottolineare comunque che alcuni autori ritengono pressoché inutili le ricerche sulle formazioni storiche autodefinitesi Rosacrociane. Il termine Rosa Croce sarebbe riferito precisamente ad un particolare grado e dignità iniziatica, la cui trasmissione non è di per sé collegata ad una struttura stabile. L'invisibilità di cui parlano i manifesti Rosacrociani di Andreae sarebbe quindi riferita alla principale caratteristica degli iniziati Rosacrociani, che mai manifestano tale status e per di più non fanno riferimento ad una società od Ordine.

Il Frosini afferma la Massoneria esistere a Venezia dal 1535 sino al 1686, data in cui fu interdetta, senza citare le fonti. E' possibile una continuità storica con il passato e la successiva Massoneria speculativa dell'Illuminismo. Ultimo anello della catena potrebbe essere costituito dalla setta ereticale di Fausto Socino.

Per la Massoneria ufficiale non è dato sapere se essa sia stata introdotta a Venezia dopo la visita del Gran Maestro della Loggia di Londra, sir Thomas Howard, nel 1729, o se sia stata ufficializzata sotto nuova forma, utilizzando una precedente attività latomistica camuffata. A questo proposito il Sagredo fornisce notizia della scoperta di una conventicola di Liberi Muratori in una casa  della Madonna dell'Orto: missionari francesi avrebbero fondato tale società.

La nascita della Massoneria veneziana moderna avviene all'epoca di Casanova e Goldoni. Venezia torna comunque indirettamente alla ribalta ad  opera di J. E. Marconis de Négre, figlio di un ufficiale dell'armata francese in Egitto, che istituisce la Società dei Saggi della Luce. Sostiene la conversione del prete egiziano Ormuz da parte di San Marco e la linea di trasmissione iniziatica dagli Esseni sino ai Cavalieri Gerosolimitani in Svezia e Scozia. Qui sorge la moderna Società dei Saggi della Luce, che reca nel suo sigillo il familiare leone di San Marco con il Vangelo aperto. A Venezia, con Cagliostro, nasce anche il filone Egiziano.

mercoledì 4 giugno 2008

I tajapiera veneziani, la tecnica

A Venezia, a partire dal 1300, inizia la "pietrificazione" della città. Al posto del legno, usato fino ad allora nell'edilizia, viene impiegata come materiale da costruzione soprattutto la cosiddetta pietra d'Istria, proveniente dall'altra sponda dell'Adriatico, una pietra sedimentaria, particolarmente resistente all'acqua salata.
In massima parte, ponti, case, chiese e palazzi di Venezia sono costruiti, decorati e rivestiti di pietra d'Istria.

Nel corso dei secoli a Venezia si è consolidata una speciale tecnica di lavorazione della pietra, che comporta l'uso di metodi e di strumenti particolari, che si differenziano molto da quelli adoperati, ad esempio, per la lavorazione del marmo (così come, per fare un paragone, la lavorazione dei metalli è differente a seconda del tipo di metallo impiegato).
Ci sono alcuni strumenti principali che sono arrivati fino ai nostri giorni inalterati e sono per ordine d'uso i seguenti:

s-ciapìn, scalpello che serve per iniziare a squadrare il blocco di pietra e cominciare il lavoro: consente di salvare lo spigolo (se ne usano varie misure: da forza o da lavoro delicato);
le punte: lunghe per lavori imponenti (es. scavare una vra da pozzo), medie e corte con variazioni di diametro per lavori più fini (es. scultura e ornato);
scalpelli: di varie misure, di larghezze variabili sia dalla parte del taglio che nel diametro, perché lunghezza, larghezza e diametro determinano scarichi di forza differenti; tra gli scalpelli particolare importanza ha la gradina che consente di lavorare senza "offendere" la pietra, toglie il sovrappiù senza penetrare troppo; altro scalpello che non "offende" è l'ongèa (che ha la forma di un'unghia), non ha spigoli, non si pianta e non fa danni;
martelli: per le superfici da raddrizzare o da squadrare si usano: lo sgrafòn, che è simile ad un'ascia, come per il legno, o la martellina, più leggera; ci sono poi la bocciarda, quadrata, con piastrine fisse o intercambiabili, di varie misure, per rendere ruvida la pietra e creare contrasti con le altre parti lisce, e la mazzetta che serve per battere sullo scalpello.

Vi sono inoltre vari tipi di trapani, di compassi e molti altri strumenti che sarebbe troppo lungo elencare.
Del resto la specificità del lavoro del tajapiera è determinata non soltanto dal tipo di attrezzo, ma anche dalla durezza e dalla qualità dello strumento. Spesso entra in gioco la "tempera". Gli scalpelli a Venezia vengono ancora forgiati da fabbri esperti ed in mancanza di questi dagli stessi scalpellini/scultori.

Spesso c'è un rapporto stretto, quasi soggettivo, del "tagiapiera" con i suoi strumenti, come l'autista con la sua macchina, il gondoliere con la sua gondola.
E inoltre è necessario conoscere il materiale. L'abilità del tajapiera sta proprio nel saper decidere quale attrezzo usare a seconda del tipo di pietra che ha di fronte.
La pietra d'Istria più adatta alla scultura era l'orsera (dal nome della località dove veniva estratta), mentre per le fondazioni, le difese a mare, le rive, veniva impiegata una pietra di qualità meno pregiata, detta "grigia". Sono materiali che oggi non si trovano quasi più, perchè non sono più commerciati.

Oggi Venezia, un poco alla volta, sta perdendo la sua identità, anche perchè ormai sta perdendo la categoria di lavoratori che l'hanno costruita.

[Roberto Giusto, archeove]

lunedì 2 giugno 2008

Mondo Massonico e Alchimia



Il legame più sicuro è con l'alchimia filosofica dei Rosacroce, nel XVII secolo. Ma c'è un intreccio col mondo filosofico dell'alchimia fin dal Medioevo.
I primi alchimisti individuabili storicamente a Venezia potrebbero essere appartenuti alla corporazione dei Vetrai, presenti già prima del 1255 in città e successivamente trasferiti d'ordine a Murano per problemi di sicurezza (incendi). 

Di sicuro, la famiglia di Angelo Baroviero raccoglie il segreto della fabbricazione di un famoso vetro trasparente dall'alchimista marchigiano Paolo Godi di Pergola e lo trasmette ai suoi discendenti sino al XV secolo.

Una decisione del Consiglio dei Dieci (17 dicembre 1488) vieta severamente l'esercizio dell'alchimia. Il provvedimento è rivolto principalmente contro i contraffattori d'oro, così come la bolla Spondent Pariter (1317), emanata da Giovanni XXII. L'alchimia tradizionale rimane il vero oggetto di conoscenza: allo stesso Papa viene attribuito il trattato Ars Trasmutatoria, stampato postumo (1557).

Sembra accertata la presenza a Venezia di una società segreta di alchimisti, detta Voarchadumia, attiva tra il 1450 e il 1490. Una società che ha ramificazioni internazionali. Tra i membri illustri sir George Ripley, canonico britannico. Nel 1530 (nel 1478 secondo altre fonti), a Venezia, Johannes Augustinus Pantheus, sacerdote veneziano, pubblica un voluminoso trattato che ha lo stesso nome, Voarchadumia, l'oro dei due rossi o della cementificazione perfetta, dedicato al Doge Andrea Gritti. Pantheus dedica inoltre un precedente lavoro, L'Arte della trasmutazione perfetta, all'amico polacco Hyerosky, grande conoscitore di testi alchemici. Le opere di Pantheus sincretizzano per la prima volta, in modo organico, Kabbalah e Alchimia.

Nel 1585 il nobile veneziano Francesco Malipiero viene condannato a morte per magia, stregoneria e alchimia. Nello stesso periodo, un alchimista al servizio di Enrico I di Buglione (1556-1653) ottiene dallo stesso, dopo avergli trasmesso la ricetta per fare l'oro, un finanziamento per recarsi al congresso generale degli alchimisti a Venezia.

Bibliografia
J. Van Lennep, Alchimie, Paris, Dervy-Livres
A. Waldstein, Lumieres d'Alchimie, Paris, 1973
Francois Secret, Les Kabbalistes Chretiens de la Renaissance, Paris, 1964
G. De Castro, Fratellanze segrete, Messaggerie Pontremolesi, Milano, 1990

domenica 1 giugno 2008

Massoneria e Templari a Venezia



Fonti conoscitive comuni, derivate dal mondo romano, legano Corporazioni Murarie e Templari, entrambi costruttori di monasteri, chiese, fortezze, strade.
Bernardo di Clairvaux redige i 62 capitoli della Regola Templare dopo il concilio di Troyes (1128): il veneziano Giovanni Michiel figura quale scrivano estensore della Regola e come successivo affiliato all'Ordine. Probabile identificazione dello stesso col figlio del Doge Vitale, vessillifero della Serenissima della seconda Crociata (1147-49).

La presenza Templare a Venezia è attestata sin dal 1187: dal lascito di un terreno denominato Fossa Putrida, per l'edificazione di una Chiesa dell'Ordine da parte del vescovo di Ravenna. E dall'edificazione di S. Maria in Capite Brogli, nell'area detta dell'Ascensione a S. Moisé (prima sede del Priorato) e dell'ospizio di S. Giovanni Battista del Tempio alla Bragora, detto S. Giovanni dei Furlani (seconda sede) dall'omonima calle adiacente. Documenti del 1247 e 1303.

Guerra commerciale tra Veneziani e Genovesi in Acri (Tolemaide) nel 1256. Tra gli alleati dei Veneziani, i Cavalieri Teutonici, ed i Templari: ai primi la Serenissima dona un terreno per l'edificazione del monastero della SS. Trinità, ai secondi una forte somma per l'ampliamento e il miglioramento del già esistente Priorato.

Probabile presenza Templare alla Giudecca, presso la Chiesa e l'Ospitale per pellegrini di S. Biagio. Consacrazione della stessa nel 1188 attestata da lapide con tau Templare all'inizio del testo. Rinvenimento di croce bizantina nel cimitero della stessa Chiesa, a forma di tau. Il precedente nome dell'isola (Spina Longa), San Biagio come patrono, e la presenza di corsi d'acqua di facile navigazione, fanno pensare ad una sede templare tipica. Il nome Giudecca è forse derivato dal termine Zudegà (aggiudicato), dopo lo scioglimento dell'Ordine (1312).

Nel XIV secolo frà Sebastiano Michiel, Gran Priore dell'Ordine Gerosolimitano, assegnatario di gran parte delle commende Templari, rivendica autonomia dallo Stato ed obbedienza solo al Papa ed al suo Gran Maestro. Bernardo Giustinian, Gran Maestro dell'Ordine dei Malta, critica il processo ai Templari ed esprime fede nella resurrezione dello stesso.

Simboli e croci Templari residuano a Venezia, in Campo della Carne ed in Campo e nella Chiesa della Maddalena.

Autori della metà del XVIII secolo sostengono eredità e continuità dell'ordine Templare sotto le bandiere della Massoneria. Essa coprirebbe un Ordine di Superiori Incogniti per la restaurazione dell'Ordine. L'esoterismo Templare sarebbe stato acquisito dagli arabi (Assassini) e dalla Chiesa esoterica cristiana di San Giovanni Battista, precursore della Vera Luce: la festività del Santo coincide con il solstizio d'estate, al 24 giugno.
La devozione dei Templari a San Giovanni spiegherebbe la devozione tributata, anche a Venezia, alla testa del Santo, custodita post mortem dai discepoli e da essa trasmessa ai Templari: ricordiamo l'ipotesi di identificazione della stessa col cosiddetto Baphomet.

sabato 31 maggio 2008

La Scuola dei Tajapiera



Quella dei Tajapiera fu tra le più antiche Scuole d'arte veneziane. La Mariegola, cioè l'atto costitutivo, risale al 1307.
La Scuola, riunitasi sotto la protezione dei Quattro Santi Coronati, fu ospitata inizialmente presso l'ospedale di San Giovanni Evangelista, dove, in una stanza al pian terreno, messa a disposizione dal Priore, avvenivano le adunanze del Capitolo, cioè del Consiglio dell'associazione, presiedute dal Gastaldo.

Come le altre Scuole Minori, anche quella dei Tajapiera, aveva compiti di mutua assistenza e di controllo sulla qualità del lavoro.
I tajapiera iscritti all'arte erano in varie maniere tutelati. Pare, ad esempio, che quando uno dei Bon morì cadendo dall'impalcatura a S. Giovanni e Paolo, la vedova il giorno dopo già ricevesse la pensione per allevare il figlio e per poterlo poi inserire nella bottega dei Dalle Masegne.

L'arte si divideva in quattro gradi: garzoni, lavoranti, maestri, padroni di officina; questi ultimi erano detti anche paroni de corte, perché le pietre e i lavori più grossi si facevano nei cortili, all'aria aperta.
La prova per diventare maestri consisteva nello scolpire una base attica di colonna, che, una volta disegnata ed eseguita, direttamente senza sagoma, veniva misurata con un modulo di rame.
Nel 1515 la Confraternita si trasferì presso la Chiesa di Sant'Apollinare (Sant'Aponal), dove, grazie all'interessamento di Pietro Lombardo, acquistò un fondo dalla parte del campanile per costruirvi la propria sede: tale costruzione, in calle del campanile, presenta ancora oggi nella parte alta della facciata un bassorilievo con i Quattro Santi Coronati e la scritta MDCLII SCOLA DI TAGIAPIERA.

Di notte per Sant'Aponal si passava solo se si era tagiapiera e scultori e c'era un servizio di ronda per la sorveglianza. Soltanto nel 1723, o nel 1727 secondo il Sagredo, gli scultori si divisero dagli scalpellini.

La sede della Scuola a Sant'Aponal era abbellita da vari dipinti, alcuni dei quali ora conservati presso le Gallerie dell'Accademia: la tavola, che si trovava sull'altare, con i Santi Coronati, di Vincenzo Catena, ed il Polittico di Sant'Ambrogio, di Bartolomeo Vivarini. Vi era inoltre un altare marmoreo con scolpiti, ai due lati, gli strumenti del mestiere.
L'altare si trova ora in custodia presso la Chiesa di San Silvestro nell'ambiente, al primo piano, già sede della Scuola dei Mercanti da vin.

[Silvia Gramigna]

venerdì 30 maggio 2008

Giordano Bruno. Fede, filosofia ed eresia.



Da lui presero poi esempio, soprattutto in Germania e in Inghilterra, vari circoli di giordanisti e taluni cenacoli, più o meno segreti, che dovevano contribuire, in misura determinante, alla formazione del sistema simbolico della Massoneria moderna, comprendente innanzitutto due filoni di cui Giordano Bruno era stato maestro.
Il primo era l'arte della memoria, non già intesa come pura e semplice mnemotecnica, bensì quale branca sapienziale che si appoggia al gioco di analogia delle immagini, affinché l'uomo possa risalire alle idee primordiali, agli "archetipi".
Il secondo filone era la reinterpretazione dell'astrologia, non più chiamata a farsi creatrice di oroscopi, ma rivolta piuttosto a ospitare, nelle sue figurazioni, i molteplici segni de "le virtude e potenze dell'anima". Compiti immani e veramente "magici", nel senso più completo della parola, e che buona parte della Libera Muratoria si affretterà a dimenticare o per un più appagante e generico umanitarismo o scadendo nella più trita pratica occultistica. Ma chiediamoci: come mai, e perché, Giordano Bruno giunse alle formulazioni che dovevano condurlo sul rogo a Campo de' Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600, dopo otto anni di durissima prigionia nelle carceri della Santa Inquisizione? Ricordiamo alcune tappe della sua vita.
Nato a Nola, nel 1548, da famiglia contadina o piccolo-borghese, entrato nell'Ordine Domenicano a soli quattordici anni, consacrato sacerdote nel 1572, addottorato in teologia tre anni più tardi, Giordano Bruno dovette fuggire da Napoli, dove aveva studiato, perché, nel 1576, fu intentato contro di lui un primo processo per eresia, a causa di talune conclusioni a cui era pervenuto con un accanito lavoro di esegesi biblica.
Egli sosteneva, tra l'altro, che Dio come Mente era trascendente la Natura, ma come Intelletto ne era il cuore e la matrice e, in quanto Spirito, si identificava con l'Anima Universale. Concetti piuttosto difficili da accettarsi da parte delle autorità cattoliche dell'epoca, tanto più che il loro autore si appoggiava a essi per avanzare riserve sul culto della Vergine Maria e sul valore religioso dell'Eucarestia, così come veniva amministrata.
Ingiustamente accusato di complicità in un assassinio, Giordano Bruno, deposto l'abito ecclesiastico, dovette fuggire anche da Roma, iniziando così il lungo peregrinare di tutta la sua esistenza, dapprima nell'Italia settentrionale e poi in tutta Europa, ora accolto con tutti gli onori, ora contestato tumultuosamente, come gli accadde a Parigi, dove gruppi di studenti esaltati gli negarono ogni possibilità d'insegnamento, poiché si contrapponeva in tutto e per tutto alla filosofia di Aristotele (384-322 a.C.) e dei suoi seguaci, allora di gran moda. Il fatto non deve sorprendere.
Il pensiero di Giordano Bruno, guardato con critica profana, era ed è un curioso miscuglio di assiomi "progressisti" e "reazionari": egli appoggiava la concezione copernicana del nostro sistema planetario, giungendo a concepire l'universo come un'unità cosmica, infinita per estensione e per il numero di stelle e di pianeti che lo compongono, ma auspicava, altresì, che si rivivificasse il mondo degli dèi egizi, in quanto riteneva si trattasse della prima e più pura formulazione della religione dell'intelletto.
Analogamente, non v'era dubbio, per Bruno, che solamente una fosse la sostanza-base dell'Universo, ma il suo atomismo non era materialistico: la materia era anch'essa manifestazione della vita e doveva, e poteva, suscitare un'esaltazione lirica.
Non stupirà, dunque, che, per il filosofo di Nola, quattro fossero le scienze sacre per eccellenza: l'Amore, l'Arte, la Magia e la "Mathesis divina", ossia la speculazione o calcolo astrale, l'Astrologia, insomma, nella sua più alta accezione. Quattro discipline che potevano condurre all' "Atrium Apollonis", all' "Atrium Minervae o all' "Atrium Veneris", ciascuno dei quali conduceva, a sua volta, a una combinazione ternaria, ora definita come "Mens", "Intellectus" e "Amor", ora, mitologicamente, rappresentata dal triangolo greco-egizio di Bacco, Diana e Hermes Trismegisto.
Notevole l'attività letteraria- filosofica: già nel 1582, a Parigi, pubblicava il "De umbris idearum"; nel 1584, a Londra, il "De l'infinito universo et mondi", "De la causa principio et uno", "Cena de le ceneri", "Spaccio de la bestia trionfante" e, nel 1585, "Degli eroici furori". A Francoforte, tra il 1590 e il 1591, pubblicò i poemetti latini "De triplici minimo et mensura", "De monade numero et figura", "De immenso et infigurabili et innumerabilibus". Poi gli ultimi, terribili anni che lo portarono alla fine, come già sopra in parte anticipato.
Chiamato a Venezia (nel 1591) dal nobile Giovanni Mocenigo, che voleva apprendere l'arte della memoria, fu denunciato dal suo discepolo al tribunale dell'Inquisizione come eretico, per cui venne arrestato e imprigionato (1592).
Durante il processo, Giordano Bruno si dichiarò disposto a fare ammenda; però la Repubblica di Venezia lo consegnò all'Inquisizione di Roma, dove venne sottoposto a nuovo processo.
Dopo otto anni di prigionia, il più grande e audace pensatore del Rinascimento, che non volle abiurare la propria filosofia, ma non tenne neanche un contegno chiaro e netto, venne condannato a morte da papa Clemente VIII (1535-1605; pontefice dal 1592). Il 17 febbraio 1600, in Campo de' Fiori, venne arso sul rogo.

[Mario Leocata in iltempo.it]

Giacomo Casanova



Nacque a Venezia il 2 aprile 1725, quasi certamente frutto della relazione extraconiugale della madre, un’attrice, con il nobile Michele Grimani. Giacomo Casanova fu avviato alla carriera ecclesiastica e nel 1743 prese gli ordini minori ma fu poi cacciato dal seminario; si laureò in Legge e iniziò una vita girovaga, toccando mete in tutta Europa, vivendo di espedienti e cambiando spesso nome (Conte di Farussi, Cavaliere di Seingault, Antonio Pratolini) per sottrarsi alle conseguenza dei suoi atti, molto spesso al limite della legalità.

Fu cabalista, informatore dell’Inquisizione, mago e guaritore, giocatore professionista e abile baro, diplomatico, uomo di teatro e di corte presso Federico il Grande e Caterina II di Russia; seppe, nelle alterne fortune della sua vita, adeguarsi a vivere nel lusso e nell’indigenza, con ladri imbroglioni e prostitute, ma anche con aristocratici e uomini di corte e di cultura.

Fu arcade col nome di Eupolemo Pantaxeno, aderì alla Massoneria; a Venezia fu accusato di ateismo e libertinismo, motivi per cui fu arrestato e senza processo rinchiuso nei Piombi, da cui riuscì a evadere in modo rocambolesco.

Nel 1760 fu a Zurigo dove si monacò ma poi ebbe un ripensamento.

Negli anni successivi visitò Voltaire in Svizzera; venne espulso dalla Polonia a seguito del duello con la pistola contro il generale Braniski, evento che aumentò l’internazionalità della sua fama al negativo.

Per chiedere la grazia di tornare a Venezia scrisse una confutazione della Storia del governo di Venezia di Amelot de la Houssaye e nel 1774 ottenne di tornare nella sua città, ma ne fu poi nuovamente espulso per la sua condotta immorale.

In età ormai avanzata trovò impiego in Boemia presso il castello di Dux come bibliotecario del conte di Waldestein; qui negli ultimi 7 anni della sua vita scrisse l’Histoire de ma vie (Storia della mia vita).

L’opera fu pubblicata in edizione ridotta nel 1825 in Germania; soltanto nel 1965 è stata tradotta in italiano, dopo 3 anni dalla pubblicazione dell’edizione critica del testo e quattrocento edizioni in venti lingue.

Il testo esalta la figura di Casanova come uomo spregiudicato privo dei consueti schemi morali, emblema dell’edonismo erotico e convalida l’immagine di Casanova come precursore del fenomeno rivoluzionario ottocentesco.

Oltre all’autobiografia Casanova scrisse versi, tradusse in ottave una parte dell’Iliade; in prosa ha scritto anche l’Icosameron (romanzo utopico, 1788) e l’Histoire del ma fuite (Storia della mia fuga, 1788) che racconta l’evasione dai Piombi di Venezia.

Morì in Boemia il 4 giugno del 1798.

Così Giacomo Casanova sui misteri della Massoneria:

« Il mistero della massoneria, di fatto, è per sua natura inviolabile. Il massone lo conosce solo per intuizione, non per averlo appreso, in quanto lo scopre a forza di frequentare la loggia, di osservare, di ragionare e dedurre. Quando lo ha appreso, si guarda bene dal far parte della sua scoperta a chicchessia, fosse pure il suo miglior amico massone, perché se costui non è stato capace di penetrare da solo il segreto, non sarà nemmeno capace di profittarne se lo apprenderà da altri. Il segreto rimarrà dunque sempre tale. Ciò che avviene nella loggia deve rimaner segreto, ma chi è così indiscreto e poco scrupoloso da rivelarlo non rivela l'essenziale. Del resto, come potrebbe farlo se non lo conosce? Se poi lo conoscesse, non lo rivelerebbe. »
(Storia della mia vita)